Termini Imerese: se non ti confessi niente cure mediche

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Nel seicento la religiosità era una “affare” di Stato al punto che anche i medici nell’esercizio della loro professione dovevano sottostare a delle regole ben precise.

Guardate cosa scrivono i giurati della città di Termini in un verbale del 1634 in cui si parla proprio di questo argomento:

“…..Perchè accade molte volte che l’infermità del corpo renvengano l’infermità e colpe delli peccati dell’anime, per cui da parte dei I.G. s’ordina provvede e comanda che ogni medico fisico et persona litterato chirurgico et qualsiasi persona, che li infermi siano tenuti obligati….e ricordarli che si debbano confessare che pro cui all’infermità spirituale si provveda alli rimedi corporali salutiferi della medicina, e che passati poi li tre giorni della prima visita tal infermo non si habbia confessato, detto medico fisico o chirurgico in modo alcuno non debba attendere a visitare ne prestargli più rimedi e…ciò venisse sia in pena della sospensione di due mesi…..”

Come capirete il documento non è di facile lettura; ma sostanzialmente vi si dice che i medici, pena una sospensione dalla professione o una cospicua multa, prima di curare un ammalato dovevano accertarsi che questi si fosse confessato con un sacerdote. Infatti, come ben si legge, si riteneva che tante malattie del corpo derivassero pure da colpe e peccati dell’anima; e quindi la religione, e nello specifico la confessione, era ritenuta parte della cura. Altro che Tachipirina e vigile attesa!

Contenuto e foto a cura di Nando Cimino 
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