Caccamo ricorda Filippo Intili FOTO

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In occasione della commemorazione del caccamese Filippo Intili, barbaramente ucciso per mano mafiosa nel 1952, la cittadinanza e le rappresentanze istituzionali si sono riunite questa mattina nel cimitero di Caccamo per condividere questo doveroso momento civico.

IL MARTIRIO DI FILIPPO INTILI: SEME DI SPERANZA 

Carissime/i,
ci ritroviamo ancora una volta per ricordare un uomo, una vittima della mafia,
un padre di famiglia che ha fatto della sua umile vita di lavoratore un segno di
speranza. Perché solo “se il seme muore porta frutto”, altrimenti rimane solo e
non produce nulla.
Innanzitutto mi piace ricordare, come solo da un decennio il ricordo del delitto
mafioso di Filippo Intili, segretario della Camera del Lavoro di Caccamo (Pa),
ucciso a 51 anni il 7 agosto 1952) è diventato un appuntamento. Infatti
l’indifferenza e l’omertà che hanno oscurato il suo martirio, per decenni ne
hanno fatto dimenticare anche la sua stessa esistenza. E l’omertà, come
insegnava il cardinale Salvatore Pappalardo “non è un’attitudine cristiana e
mafiosi sono anche quelli che con il loro atteggiamento omertoso rendono
possibile il perdurare di questo fenomeno delinquenziale”.
Il merito va senz’altro alla Cgil che, oltre a Intili ha consegnato alla memoria
civile e democratica di tanti cittadini e di intere comunità locali, l’esempio di
numerosi sindacalisti uccisi Dalla mafia, nella difesa dei diritti dei contadini,
soprattutto per l’applicazione della riforma Gullo che prevedeva il 60% del
raccolto per i lavoratori e il 40% ai proprietari. Mentre bisogna riconoscere che,
non tutte le Amministrazioni comunali che si sono succedute, si sono impegnate
in maniera convinta con lo stesso impegno.
“Il lavoro che manca e precario è una grave ferita alla dignità della persona. La
precarietà è come le sabbie mobili. Illegalità e intelligenza artificiale sono
minacce in agguato, la mancanza di sicurezza è scandalosa, perché compromette
progetti e scelte di vita. Bisogna sconfiggere la precarietà, l’insicurezza e la
mercificazione, perché il lavoro produca fiducia e speranza. Quello che ti dà
dignità è guadagnare il pane, e se noi non diamo alla nostra gente, agli uomini e
alle donne, la capacità di guadagnare il pane, questa è un’ingiustizia sociale”.
Sono solo alcuni temi di stringente attualità espressione del pensiero di papa
Francesco che, il più delle volte sono condivisi sia da politici che da tutti i
sindacati a livello di principi, ma che poi difficilmente trovano risposte adeguate
da parte politica o delle varie espressioni del mondo imprenditoriale. E nessuno
può venir meno alla propria responsabilità, quindi anche dei consumatori.
Perché se compri un prodotto a basso costo, bisogna sapere che dietro c’è il
lavoro nero e poi la bassa qualità del prodotto stesso.

Nessuno può reclamare o desiderare di mettere la propria bandierina sulla
memoria o peggio sul sangue delle vittime di tanti delitti mafiosi, l’impegno
semmai deve essere nel ricercare tutti quei punti in comune e condivisi tra
Società civile/politica e Comunità Ecclesiale, tra giovani e anziani, lavoratori e
disoccupati, scuola e social perché il nostro agire sia credibile e produca
speranza nell’impegno di ciascuno che, possa diventare quel “noi”, quel volto
nuova della Società e della persona che tutti desideriamo.
Da parte mia, riconosco come ci siano tante resistenze all’interno delle
Comunità Ecclesiali, sia da parte della gerarchia come da gruppi più o meno
numerosi, che non accettano che temi come l’inclusività, lo ius loci, la corruzione
nella Cosa pubblica, la purificazione della religiosità popolare, l’omofobia, il
razzismo entrino di diritto nella prassi pastorale ma, sono considerati come delle
concessioni dovute alle benevolenza di questo o quel vescovo a parlarne ma con
la dovuta cautela e prudenza.
Avere ottenuto per Filippo Intili una lapide per i suoi resti mortali, una stele,
una strada non esauriscono il nostro impegno. Cambiare la mentalità lo
sappiamo non è facile, come il fare in modo che i giovani sentano parlare di lui,
come di Geraci non solo dagli insegnanti a scuola, ma soprattutto dai loro
genitori.
Solo allora, il sangue come la sofferenza di Filippo Intili, o di Mico Geraci non
saranno stati versati invano, ma saranno quella sorgente sempre viva che genera
vita e bellezza, futuro e speranza.

Padre Giovanni Calcara, domenicano
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