Termini Imerese senza acqua, storia: la grande siccità

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Tra il cinquecento e il seicento i cambiamenti climatici, oltre che l’ambiente, avevano messo in crisi anche l’economia. Ne aveva risentito persino la salute pubblica; al punto che Giambattista Cortesi, professore di anatomia e di medicina pratica alla Università di Messina, analizzando la eccessiva variabilità del tempo di quegli anni, aveva asserito in un suo studio, che questa fosse causa determinante pure delle ricorrenti epidemie.

Anche lo storico Carmelo Trasselli ne parla in uno dei suoi testi; scrivendo proprio di come, anche Termini Imerese, fosse stata colpita dalla siccità.

Ecco testualmente cosa dice:
«….Alla grande siccità nel Trapanese del 1521 corrispose quella di Caltagirone dove la pioggia mancò del tutto; a Randazzo la masseria dei Vayasindi raccolse meno del seme; pure a Randazzo un altro offrì ai creditori la metà dei guadagni futuri di anno in anno; a Rocca e Maurojanni andò a male anche l’allevamento dei bachi ed un tale offrì metà dei guadagni futuri (82). A Termini seccarono i vigneti; a Palermo, prima grandine e poi venti di scirocco rovinarono l’uva ed i cereali non diedero abbastanza da pagare i braccianti. La città di Termini, porto frumentario addetto tra l’altro al rifornimento di Palermo e delle isole Eolie, fu costretta a comprare frumento per sé…!»

Un secolo quindi, in cui il clima sembrava impazzito; con repentini cambiamenti delle condizioni atmosferiche. E a tal proposito, e sempre per quanto riguarda Termini Imerese, si ricordano pure le grandi piene del fiume San Leonardo; eventi estremi che, in più occasioni, avevano determinato il crollo del suo principale ponte. Grandi piogge a carattere torrenziale furono documentate pure tra la fine del sedicesimo e gli inizi del diciassettesimo secolo durante il periodo estivo; piogge tali da provocare la pressoché totale distruzione dei raccolti con conseguenti crisi economiche.

In questi casi l’unico rimedio conosciuto era quello di rivolgersi ai santi; che venivano “scomodati” con particolari riti ed uscite straordinarie di statue in processione. Questo determinò, tra il seicento e l’ottocento, anche il fiorire di speciali invocazioni che la religiosità popolare ha coltivato e tramandato fino ai giorni nostri.

Eccovene qualche esempio:

Per la siccità: – «Signuruzzu chiuviti, chiuviti ca l’arbuliddi su morti ri siti, e mannatini una bona senza lampi e senza trona…»

Contro lo scirocco:«Sant’Antuninu carmati stu ventu, cu l’ogghiu santu du Sacramentu; Sant’Antuninu protetturi, luntanu di ccà l’aviti a mannari»

Contro lampi e tuoni:«Lampi e trona itivinni arrassu, chista è la casa di santu Gnaziu, santu Gnaziu e santu Simuni, chista è la casa di nostru Signuri»
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