Termini Imerese: lite tra ex coniugi finisce in tribunale, impiegata comunale assolta dall’accusa di lesioni

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Il tribunale penale di Termini Imerese, giudice Dott.ssa Alessandra Marino, ha depositato le motivazioni della sentenza con la quale ha assolto un’impiegata comunale dall’accusa di lesioni dolose aggravate dal danno permanente della perdita dell’udito.

I fatti risalgono all’agosto del 2016 allorquando la donna, separata dal maritovigile urbano presso il comune di Termini Imerese-, si era recata con quest’ultimo al consultorio dell’Asp per un incontro con una psicologa per questioni attinenti alla risoluzione di conflitti familiari.

In tale circostanza la donna, provocata da alcune affermazioni offensive dell’ex marito, gli avrebbe dato uno schiaffo davanti la psicologa.

A causa di ciò, il vigile urbano si sarebbe immediatamente recato presso l’ospedale di Termini Imerese per farsi visitare, in quanto, a suo dire, il colpo ricevuto lo avrebbe attinto all’orecchio sinistro cagionandogli importanti danni.

Dopo qualche giorno l’uomo veniva operato all’orecchio con la diagnosi di doppia perforazione dei quadranti posteriori della membrana timpanica sx.

Quindi, il vigile urbano sporgeva denuncia contro la ex moglie per il delitto di lesioni aggravate.

Si svolgeva così il dibattimento ove venivano sentiti diversi sanitari che avevano visitato ed operato il vigile urbano. Veniva sentita la psicologa dell’Asp che però smentiva l’uomo, in quanto affermava che questi avrebbe ricevuto uno scappellotto dietro la nuca e non all’altezza dell’orecchio.  

Smpre nel corso del dibattimento veniva sentito il vigile urbano che confermava integralmente le accuse nei confronti della donna e, dopo essersi costituito parte civile, producendo una perizia medico legale che attestava il danno permanente all’ apparato uditivo, chiedeva di essere risarcito.

La donna veniva sentita davanti al giudice ed ammetteva di avere dato uno schiaffo all’ex marito, specificando però di averlo colpito alla nuca e non all’orecchio.

I legali della donna, gli avvocati Francesco Paolo Sanfilippo e Salvatore Palmisano, durante il procedimento intanto dimostravano che il vigile urbano nutriva forte astio nei confronti della donna poiché quest’ultima lo aveva più volte denunciato e aveva esperito nei suoi confronti diverse azioni giudiziarie, anche pignoramenti, volti a recuperare diversi crediti.

Poi, i legali della donna, durante la deposizione dell’uomo, gli chiedevano se avesse mai sofferto di precedenti patologie all’orecchio.

L’uomo rispondeva di no e negava di essere stato mai operato.

Gli avvocati Sanfilippo e Palmisano a quel punto esibivano delle cartelle cliniche che, all’insaputa dell’uomo, avevano chiesto ed ottenuto, con apposite indagini difensive, dall’Asp di Termini Imerese.

 I difensori avevano scoperto che l’uomo soffriva di una patologia cronica all’orecchio e che addirittura era stato ricoverato ed operato presso il reparto di Otorinolaringoiatra di Termini Imerese.

Messo alle strette l’uomo non poteva che ammettere che in realtà soffriva da anni di una patologia cronica ed era stato operato prima dei fatti per cui si stava celebrando il processo.

Infine i difensori, tramite il loro consulente medico legale Professore Paolo Procaccianti, dimostravano che la signora aveva detto la verità, in quanto non aveva colpito all’orecchio l’uomo e che, in ogni caso, gli esiti all’orecchio che il vigile urbano aveva riportato non erano ascrivibili alla condotta della donna ma esclusivamente alla sua patologia cronica.

Avv. Salvatore Palmisano
Avv. Paolo Sanfilippo

Gli avvocati Sanfilippo e Palmisano chiedevano l’assoluzione della donna perché il fatto non sussisteva.

Il Tribunale dava loro ragione ed assolveva la dipendente comunale dal reato di lesioni dolose aggravate e, dopo aver riqualificato i fatti nel reato più lieve di percosse, proscioglieva la dipendente comunale perché  quest’ultima aveva inoltrato prima del dibattimento una somma di euro 500 a titolo di ristoro danni.

Una storia a lieto fine per la donna che è riuscita a smascherare il tentativo fraudolento dell’uomo di incolparla per un grave reato la cui pena sarebbe stata compresa tra tre e sette anni di reclusione.
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