A Termini Imerese c’era una volta…don Totò u custureri

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Fu una delle ultime sartorie ad aprire i battenti a Termini Imerese. Siamo agli inizi degli anni cinquanta; e il mestiere di sarto, che fino ad allora tanto lavoro aveva dato a numerosi bravi artigiani, incomincia a divenire sempre meno remunerativo. Infatti, proprio a partire dal dopoguerra, e pur essendo aumentata la richiesta di capi d’abbigliamento, assistiamo al diffuso arrivo sul mercato di vestiti di produzione industriale.

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Questo, oltre che al declino delle numerose botteghe artigiane di sartoria, determinerà nella nostra città anche la chiusura di tanti antichi negozi di tessuti; qualcuno dei quali verrà trasformato in esercizio di abbigliamento.

E dire che il lavoro di confezionamento artigianale di abiti, sia per uomo che per donna, era stato tale che a Termini c’era pure chi, e me ne ricordo personalmente, vendeva stoffe girando per le strade con il carretto. Il mestiere di custureri, parola di origine spagnola con cui in Sicilia veniva chiamato il sarto, era parecchio difficile; e per esercitarlo occorreva avere acquisito grande maestria. Cosa che avveniva dopo essere andati come “picciutteddu” a bottega, e dopo aver fatto lunghi e lunghi anni di gavetta. E d’altronde, sin dagli inizi del novecento, a Termini Imerese, e proprio in questo settore, c’erano stati tanti bravissimi artigiani. Infatti, oltre a Salvatore Velardi, il personaggio di cui qui vi parlo, ci si ricorda dei vari Tedesco, Garofalo, Corso, Giarraffa, Ricotta, Scarpaci, Notaro; tutti con bottega a Termini Bassa. Io stesso ho poi personali ricordi di Franchina, Piritore in via Marfisi, di Sansone e Milisenda, di Angelo Giuffrè a San Carlo, e ancora di don Paolo Minà; che giunto nella nostra città da Castelbuono aveva aperto la sua sartoria in via Armando Diaz. E mi vengono ricordati pure i nomi di Gebbia fratello e sorella in via Mazzini, di La Nasa, Pinzone, Scimè.
Insomma erano veramente tanti e tutti bravissimi.

Salvatore Velardi, dopo avere appreso l’arte, era diventato particolarmente abile proprio nel confezionamento di abiti; e il suo atelier, che per tanti anni ebbe sede nella via Felice Cavallotti a pochi passi dal Piano dei Bagni, era sempre molto frequentato. Certo per i clienti le attese erano lunghe; mastru Totò infatti, come tanti amichevolmente lo chiamavano, era tipo molto meticoloso; ma alla fine il lavoro risultava sempre perfetto. Ad aiutarlo c’era pure la giovane moglie, anch’essa bravissima sarta; che spesso, in bottega, svolgeva anche il non facile compito di curare le “pubbliche relazioni”, intrattenendo i clienti più esigenti, che a volte arrivavano accompagnati dalle mogli.

Egli lavorava di fino, tagliando per intero l’abito, e cucendo personalmente le giacche; mentre, per la cucitura dei pantaloni, si affidava alla manodopera femminile. Ad aiutarlo c’erano infatti le cosiddette “causunara”, nome siciliano con il quale venivano indicate le pantalonaie; donne la cui specializzazione era proprio quella di occuparsi della cucitura di pantaloni.

Pur cambiando successivamente la sede del suo laboratorio, Totò Velardi continuò questa sua attività per oltre trenta anni; rimanendo, fino a parte degli anni ottanta, quasi unico e ultimo rappresentante della categoria a esercitare a Termini l’antico mestiere di sarto. In quegli anni le sartorie erano anche veri e propri luoghi di incontro dove tanti amici si riunivano per chiacchierare; e, durante la bella stagione, anche don Totò, così come altri, si metteva a lavorare “ravanti a porta”, dove era sempre disponibile qualche sedia per fare accomodare gli ospiti.

Nelle bellissime immagini, il cui uso mi è stato gentilmente concesso dal figlio Luigi, lo vediamo proprio mentre lavora seduto davanti alla sua bottega; e in altri momenti della giornata, all’interno del locale. Ma particolarmente bella è la foto scattata in Piazza Duomo che lo ritrae insieme alla moglie, quasi in posa da indossatori, come a mostrare gli elegantissimi abiti prodotti da loro stessi.

Oggi a Termini Imerese non esiste più alcuna attività di sartoria. Di contro resiste ancora qualche piccolo laboratorio casalingo dove, bravissime sartine, più che al confezionamento si dedicano a stringere o accorciare vestiti; che, comprati in boutique e ormai prodotti in serie, a differenza di quelli personalizzati realizzati manualmente dai sarti, quasi mai risultano essere ben consoni alle reali esigenze del cliente.
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