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Un censimento territoriale descritto in un documento che si conserva nella Biblioteca Liciniana ci da l’esatta misura di quello che era la nostra Regia Città nel 1810.
Attraverso la sua testuale lettura apprendiamo che essa era “Situata in due pianure, una che forma la parte superiore e l’altra la parte del basso alla marina.
Unisce questi due piani una sufficiente salita.
In tal senso occorre specificare che l’unica strada carrozzabile che nel 1810 univa le due parti della città era la odierna via Stesicoro.
La strada partendo dalla cosiddetta Porta di Bellomo (Baddoma), così come oggi, raggiungeva il vasto Piano di Sant’Andrea, la odierna Piazza Umberto I°.
Durante il suo percorso in salita attraversava le due colline di Santa Lucia e dei Cappuccini; che erano già state scavate nel mezzo e dove, come si evince da altri documenti, esistevano già gli archi.
Nella parte alta la strada passava all’interno di una zona, in parte ancora boscata, e detta Selva della Gancia, che era anticamente ed in gran parte appartenuta proprio al convento ed alla chiesa di Santa Maria di Gesù.
La città viene descritta dalla forma irregolare le cui fabbriche (case), sono per lo più in cattivo stato.
Cinta di 6 porte oltre ad altre 4 che sono serrate, ed è di facile accesso.
Si dice ancora che vi è un castello, che c’è un buon clima e che fa parte della diocesi di Palermo.
Sempre il documento continua dicendo che in città vi è acqua sufficiente, proveniente da sorgive di vicine campagne, e che le case “particolari”, ovvero quelle di gente più facoltosa, hanno al loro interno pozzi e cisterne.
Prosegue il documento aggiungendo che in città c’è il Palazzo Senatorio (Comune) e pure 10 conventi; di cui uno fuori le mura, ovvero quello di Sant’Antonio.
C’erano inoltre ben 39 chiese, tutte aperte al culto, ed ancora un Monastero, un Collegio di Maria, un reclusorio ed un albergo di povere.
Lo stesso carteggio ci dice che a Termini Imerese c’erano pure 2 Ospedali; uno, forse solo una casa di ospitalità, era detto “Delle Donne” ed era situato nelle vicinanze della chiesa di Sant’Orsola nei cui pressi esiste ancora oggi una omonima via; e l’altro riservato agli uomini e detto invece “Benfratelli”, che si trovava dove è oggi il Museo Civico.
La città era pure in grado di fornire alloggio e servizi ai viaggiatori; potendo contare su ben 13 fondaci con relative stalle.
C’erano pure 20 forni la cui materia prima, ovvero la farina, era assicurata da ben 15 mulini ad acqua che si trovavano però tutti fuori le mura della città.
I nostri amministratori certificavano inoltre che la città era di “mezzana” comodità e che il territorio abbondava di animali da macello; aggiungendo pure che il commercio era fatto di alici salate, grano, legumi, riso, ed olio prodotti nello stesso territorio.
In tal senso era quindi specificato che le principali attività erano quelle della pesca, dell’agricoltura e dell’artigianato e che tanti altri nostri concittadini erano degli “speculanti”; aggettivo che in questo caso è da intendersi come commerciante.
Ancora nel 1810 Termini Imerese era capoluogo di comarca; ovvero vi si amministravano le attività fiscali di tutti gli altri centri del circondario.
Come risulta pure da altri documenti, in quel periodo gli abitanti della città erano circa 14.000.
Il numero non era mai preciso poiché il censimento, che veniva chiamato “conta delle anime”, era effettuato non dal comune ma dai parroci attraverso i registri custoditi nelle chiese.
Termini Imerese: nasce il quartiere Sant'Antonio
Intorno ai primi anni trenta del novecento, subito dopo la Porta di Girgenti o di Caccamo come pure è conosciuta, incominciò a formarsi un nuovo quartiere le cui case si estendevano da un lato a toccare la vecchia cinta muraria, e dall'altro fin sulla strada che scendeva giù nella zona detta di Bevuto. Ne nacquero,…
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