Come far piacere i cibi sani ai bambini?

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Dolci, pizza, patatine e poco altro. L’errata educazione alimentare è molto diffusa tra i più piccoli. Attenti però, a imporre frutta e verdura: si può sortire l’effetto opposto…

Mattia è un bambino dai gusti difficili: merendine a parte, mangerebbe solo cotoletta, patatine e pizza. La nonna minimizza, e ne asseconda gusti e capricci rimpinzandolo di dolci e focaccine, tanto “Imparerà da grande, anche suo padre era così”. Peccato che il padre, ancora oggi, a sua volta storca il naso di fronte a zuppe e minestroni, e per lui bisogna cucinare comunque gli spaghetti…

 

La cognata invece critica: “I bambini devono mangiare quello che c’è a tavola. Come farà adesso che inizia la scuola in mensa?”. La domanda se la pone anche la mamma: si sa che ci sono sapori difficili per i più piccoli, come le note amare di certi ortaggi, e che un po’ i bambini “ci fanno” per testare il loro potere sui genitori. Ma non sarà che la colpa è di una errata educazione alimentare dallo svezzamento in poi? «La selettività nei bambini è normale, entro certi limiti», conferma Benedetta Raspini specialista in Scienza dell’alimentazione, nutrizionista e autrice del libro I nostri primi mille giorni (Sperling & Kupfer editore), una guida all’alimentazione in gravidanza, allattamento, svezzamento e infanzia. «Non tutti accolgono con la stessa curiosità le novità a tavola. È meglio non insistere troppo per dare tempo al bambino di abituarsi ai nuovi cibi e ai nuovi sapori. Solo se i rifiuti persistono a lungo e riguardano troppi alimenti, col  rischio di compromettere la sua salute e la sua crescita, è necessario l’intervento di uno specialista». Ma quando è legittimo preoccuparsi davvero? Ci sono mamme o nonne che vedono “troppo magri” e inappetenti bambini sanissimi per il pediatra… «In certi momenti della crescita, la selettività e il rifiuto sono fisiologici, per esempio fra i due e i tre anni.

 

È importante evitare di innescare quel gioco delle parti per cui cui, pur di farlo mangiare, si dà al bambino solo ciò vuole, perché così si rischia di peggiorare la sua selettività. È normale preoccuparsi quando il bimbo non mangia, ma se per un giorno si salta un pasto non succede niente!». La rigidità dei genitori di un tempo – che però era anche facilitata dal fatto che gli alimenti disponibili non erano così tanti e variati come oggi – può pagare o fare più danni? «Meglio evitare il braccio di ferro», risponde la nutrizionista. «Se il bambino non vuole mangiare o provare nuovi cibi, bisogna mantenere la calma ed esortarlo ad assaggiare gradualmente. È importante non arrabbiarsi, nonostante la comprensibile fatica e frustrazione: evitando lotte dirette, è più probabile che pian piano ceda, e, capendo che non si tratta di un’imposizione, smetta di essere oppositivo».

Le cause dell’inappetenza del possono essere tante: «Oltre a non piacergli il cibo, può sopraggiungere dopo una malattia, per stress, per noia. Cosa fare: non riempire mai il piatto di cibo. Al bambino inappetente bastano di cucchiai di minestra per saziarsi. Meglio proporre cibi poco elaborati e in quantità non eccessive: potrete sempre aggiungere dopo. Cercare di portare in tavola piatti gradevoli alla vista e colorati. Provare a cucinare insieme: favorirà la curiosità e il suo senso di competenza. A tavola è bene che tutta la famiglia consumi lo stesso pasto. Perché il bambino dovrebbe mangiare le zucchine se mamma e papà mangiano le partite fritte?». Anche con i più grandi è possibile rieducare gusto e abitudini: «La strategia preventiva o curativa è la medesima: non usare il cibo come un premio o una punizione.

Anche nei momenti di maggiore frustrazione, sarebbe bene non utilizzare frasi come “Se mangi tutto, ti compro…”, “Se finisci la minestra, dopo ti do il gelato..” “Se non finisci, non vai a giocare”, “Se mi vuoi bene, devi mangiare” e così via. Trasformare il cibo in ricatto o richiesta d’affetto può creare problemi nel lungo periodo, perché  confonde le sensazioni fisiologiche di fame e sazietà con aspetti emotivi o psicologici, con il rischio di favorire in futuro l’insorgere di un disordine alimentare».

Aggiunge Padre Giovanni Calcara, domenicano del convento di Soriano Calabro (Vibo Valentia), «Il rapporto col cibo riflette la dimensione interiore della persona e il rapporto che ha con se stessa e con la comunità familiare e sociale. L’educazione alimentare, anche per favorire la salute, fa parte dell’attenzione verso l’altro: purtroppo succede che il genitore – stanco e con poco tempo, a sua volta consumatore di cibi pronti e sempre meno dedito ai fornelli – permetta al bambino di mangiare ciò che vuole pur di essere lasciato in pace, senza dedicargli il tempo necessario per fargli capire, con spiegazioni adatte all’età, perché è bene seguire una alimentazione varia, completa ed equilibrata. Insieme al poco movimento, la conseguenza è l’epidemia di obesità che colpisce anche i bambini italiani. Il pranzo un tempo era per la famiglia un momento “sacro”, di condivisione: bisognerebbe recuperare questa dimensione prioritaria della convivialità, dello stare insieme, dando al cibo – magari anche questo comprato e cucinato insieme – il giusto valore. L’educazione alimentare deve partire da qui».
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