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Anticamente a Termini Imerese la festa di San Giuseppe era fra le più attese; anche perché in passato nella nostra città c’erano ancora tante attività artigianali e, come si sa, San Giuseppe è considerato anche il protettore di questi lavoratori.
Ma al di la dell’aspetto squisitamente religioso che si concretizzava con il novenario e la solenne processione del 19, che una volta era giorno non lavorativo, c’era pure una bella usanza in auge fino a parte degli anni settanta e poi pian piano scomparsa; ovvero “i vampi”.
Se ne allestivano un po in tutta la città; particolarmente suggestiva, era quella che si faceva o chianu ri bagni ovvero la piazza delle Terme; dove uno dei principali animatori era don Pepè Seminara, noto salumiere che, proprio nei pressi, gestiva la sua bottega.
Don Pepè godeva delle simpatie di tanti pescatori che per l’occasione ed in aggiunta alla legna proveniente dalla campagna, gli procuravano anche vecchi fasciami di barche facilmente reperibili in quella zona.
Nella piazza si radunava tanta gente ed a volte vi partecipava anche una piccola orchestrina che suonava allegre marcette.
A Termini alta, in un clima quasi di sfida, di vampe in onore di San Giuseppe se ne accendevano tante ed in vari rioni.
Qui sicuramente influiva la presenza di molti viddani; infatti quello di accendere fuochi nella notte di San Giuseppe ci riporta ad antichi riti agresti di origine pagana.
Anticamente infatti i contadini prima di iniziare la semina, si riunivano nelle campagne accendendo falò come rito propiziatorio per il futuro raccolto, ma anche come segno di rinnovamento per l’imminente arrivo della primavera.
Anche a Termini alta la ricerca della legna iniziava giorni prima ed il “raccolto” veniva accatastato in angoli nascosti per evitare, cosa che avveniva spesso, che da altre zone venissero a rubarlo.
Per ovviare a tale inconveniente, ed a scanso di brutte sorprese, soprattutto a ridosso della festa si organizzavano veri e propri turni di guardia.
Nella zona della villa Palmeri la legna veniva accumulata all’interno di piano Barlaci dentro la grande buca centrale dove si trovano i resti del vecchio anfiteatro.
Si facevano falò poco sotto il Municipio nelle vicinanze del Tribunale ma anche nel quartiere della Ciba; e qui, come ricorda il poeta panillaru Enzo Di Gaetano, si andava a prender legna nella vicina zona detta “u vadduni” ovvero nel bel mezzo di quello che è oggi il quartiere del Mazziere.
Poi si facevano vampe anche fuori Porta Palermo e pure nei pressi di Piazza Sant’Antonio, dove arrivava tanta legna dalla vicina zona di Bevuto che fin nei primi anni sessanta era ancora aperta campagna.
Anche io ho personali e piacevoli ricordi di quel periodo; vi prendevo infatti parte assieme ad altri ragazzi ed era un vero divertimento.
Nelle vicinanze della chiesa dei Cappuccini dove ancora oggi abito, a vampa si preparava quasi sempre nel bel mezzo della via Ospedale Civico all’incrocio con la via Cannitello; e tra i principali promotori c’era la famiglia Graziano che lì aveva casa e putia.
La legna incominciava ad essere recuperata diversi giorni prima ed accatastata in un adiacente spiazzo ancora oggi esistente e detto “u iardineddu”.
Ricordo che si andava a recuperare tronchi e rami nelle vicina campagna dei Cavallacci, dove ancora non c’era la strada; ma ricordo pure che l’ultimo anno in cui nel quartiere si allestì la vampa si utilizzò legname “abusivamente” recuperata in un vicino cantiere della via Armando Diaz dove stava nascendo uno dei tanti palazzacci che negli anni sessanta deturparono il bel centro storico della nostra città.
A preparare la catasta provvedevano gli adulti, aiutandosi anche con una scala, e formando una sorta di piramide alla cui base mettevano fascine di ramagghia; ovvero scarti di potatura delle olive, che allora i tanti forni della città utilizzavano per la cottura del pane.
Quando già era sera e la legna, finita di bruciare si era ridotta in ardente carbonella, tante donne del vicinato arrivavano con secchio e palette e la raccoglievano per riempirne i bracieri e riscaldarsi.
L’indomani mattina si andava a messa nella chiesa di San Giuseppe dove veniva distribuito u panuzzu binirittu ed a pranzo era tradizione mangiare pasta con le sarde e finocchietti selvatici oppure pasta chi favi a maccu.
Ovviamente non mancavano le sfince fatte in casa; e poi al calar della sera si partecipava tutti alla processione che, così come ancora oggi, si snodava per le vie di Termini bassa.
(Nella foto il quadro San Giuseppe ed il Bambinello che si conserva nella chiesa dei Cappuccini)
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