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Quando lui vuole fare il papà sul serio

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Rispetto al passato, gli uomini odierni vogliono essere presenti nella cura dei figli e
condividere la genitorialità con la moglie. Il punto di confine nella divisione dei compiti? Va
lasciata alla coppia la libertà di costruire un equilibrio oltre i pregiudizi

Secondo la ricerca “Genitorialità condivisa: indagine Manageritalia” su un congedo di
paternità oltre i 10 giorni (attualmente previsti), il 61 per cento degli uomini lo vorrebbe
obbligatorio e la percentuale sale all’85 per cento tra i manager sotto i 45 anni. Sempre più
spesso i giovani papà vogliono avere un ruolo importante nella cura dei figli, per una
genitorialità realmente condivisa con la mamma e benefici per tutta la famiglia. Ma può
succedere che nel parentado – suoceri, genitori, cognati, zii… – ci sia chi non condivide la
scelta di un uomo di occuparsi più della moglie dei bambini, anche a fronte di motivazioni
razionali: lei ha una carriera più prestigiosa o un lavoro che non le consente di assentarsi
o fa turni pesanti; lui lavora in smart working o in un luogo più vicino a casa.

O, semplicemente, si tratta di un papà vocato – perché no? – al ruolo di genitore e quindi più
felice di dedicare il suo tempo libero alla famiglia, anziché andare a giocare a calcetto con
gli amici…

C’è chi è ancora convinto che “i figli sono delle mamme”, antico detto per
sottolineare lo speciale legame che deriverebbe dai nove mesi della gravidanza e che al
padre sarebbe negato dalla natura. Ma l’adagio ha anche un altro significato, meno tenero
e più legato alla società e al costume, e cioè che alla fin fine, anche se vanno al lavoro e
gestiscono la casa, il carico maggiore nella cura dei figli tocca sempre e comunque alle
donne e il papà, al massimo, è un compagno di giochi quando c’è. E allora? Se oggi i
giovani (e anche meno giovani) neo-papà vogliono instaurare un rapporto diverso con i
loro figli perché biasimarli?

«Il retaggio socio-culturale è una gran fetta del problema»,
sottolinea Benedetta Comazzi, psicologa a Milano. «Fin dalla preistoria, l’uomo usciva
dalla grotta e andava a caccia, mentre e la donna restava ad occuparsi dei figli e del
focolare domestico. Pur comprendendo che questo schema è durato per secoli, non
significa che lo si debba avallare anche ai nostri giorni. Negli ultimi decenni si è data giusta
considerazione alla cura della casa e della famiglia e “fare la casalinga” ha cominciato a
essere considerato un “lavoro” a tutti gli effetti, fino a proporre una forma di retribuzione.
Quando si parla di emancipazione femminile, si sottolinea il carico delle donne che devono
occuparsi del lavoro fuori casa e del “lavoro in casa”. Ma se si punta sulla parità e l’equa
distribuzione anche dei compiti casalinghi, allora l’uomo sta “perdendo tempo” o
“aiutando”, come se fosse comunque qualcosa che non è di sua stretta competenza, ma
una gentile concessione».

In generale, se qualche parente fa osservazioni negative sul
genero o sul figlio che si dedica alla cura dei figli più di quanto ci si aspetterebbe, possono
esserci motivazioni anagrafiche, perché persone avanti negli anni possono avere una
forma mentis legata all’antico retaggio socio-culturale.

«A volte, però, ci sono anche dei
sentimenti di invidia, perché la suocera magari vede che la nuora è alleviata dal carico
familiare più di quanto sia successo a lei. Ammesso che ognuno possa esprimere il
proprio parere, il punto fermo è che ogni nucleo famigliare ha il proprio funzionamento, il
proprio equilibrio e soprattutto i propri confini e le proprie regole. Il rispetto dei confini deve
esserci in ogni famiglia: non esiste un giusto e uno sbagliato, ma ciò che va bene per
quella famiglia, in quel momento della vita e nelle specifiche condizioni che la famiglia sta
attraversando. Tenendo anche presente che non tutti veniamo gratificati dalle stesse cose:
ci può essere un uomo più appagato dal lavoro e un altro più dalle soddisfazioni che gli
regala la famiglia. E non sottovalutiamo il cambiamento generazionale, con maggiore
attenzione al benessere e alla dimensione personale, connessa anche ai cambiamenti nel

mondo del lavoro, sempre più precario e meno lineare che porta gli uomini più giovani a
concordare le scelte professionali con le mogli e tenendo conto delle esigenze della
famiglia».
Per padre Giovanni Calcara, domenicano del convento San Domenico di Palermo,
«Parafrasando un altro detto secondo il quale tra moglie e marito non bisogna mettere il
dito, non lo si dovrebbe fare nemmeno tra genitori e figli. Se nella coppia si è realizzato un
equilibrio con una presa di coscienza dell’importanza della genitorialità condivisa,
superando vecchi stereotipi che volevano, per esempio, che l’educazione affettiva fosse
delegata alla madre mentre ai padri era vietato addirittura manifestare affetto e coccole.

Padre Giovanni Calcara

Nel momento in cui una coppia oggi ha deciso tempi, occasioni, modalità di crescita dei
figli in cui entrambi i genitori siano presenti, offre una crescita armonica del bambino e
mostra che non sta facendo nulla di strano né di eccezionale: i pedagogisti concordano
sul fatto che i problemi dell’infanzia di oggi semmai sono dovuti all’assenza di uno dei due
ruoli genitoriali, e quindi ben vengano padre e madri che interagiscono. Dovrebbe essere
facilitati anche dal legislatore».

Maria Truncellito
In “Maria con te” n. 43 del 27 ottobre
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Redazione

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