In questo senso di particolare aiuto sono state le confraternite, con i loro spesso variopinti costumi, gli stendardi, le grida di invocazione, le corse con la vara in spalla. E come non ricordare poi anche le bande musicali con le loro marce, non necessariamente religiose; emblematica in tal senso e la processione “caotica”, senza preti o litanie, che si svolge a Mistretta in onore di San Sebastiano; dove in migliaia corrono con il santo al ritmo della carica dei bersaglieri. E’ nella strada che la ricorrenza e il ricordo di un santo, diventano festa; festa di suoni, di colori e di sapori; insomma allegria.
Quella allegria che genera gioia e appagamento dei sensi; ovvero un abitat naturale per la spiritualità, che ognuno sperimenta liberamente e individualmente, fuori da ogni omologazione del sistema. Ne sono un esempio anche le luminarie, a maschiata, i tammurinara che spesso precedono le nostre processioni, e non solo per annunciarne l’arrivo. Dietro quel battere frenetico e assordante, in quel ritmo cadenzato e incalzante, c’è infatti anche un significato antropologico. La loro “baldoria” è come un rito orgiastico ancestrale, in cui si vuol scacciare il demonio; un tener lontano il male per fare strada al bene, ovvero al santo che si avvicina.
E’ nella strada che si percepisce la vera partecipazione; infatti mentre in chiesa l’assemblea assiste pressoché passivamente al rito, “ubbidendo” ad una liturgia, di cui spesso nemmeno capisce il vero significato, in strada quella stessa assemblea, abbandona la sua compostezza e diventa folla protagonista che genera il “caos – mythos” staccandosi dal “logos” e dalla razionalità. Ed ecco che il popolo fa suo il santo; sobbarcandosi il peso della vara, sudando, facendolo ballare, girare, saltare, come fosse uno di loro, un coetaneo, un amico con cui condividere speranze ed emozioni. E’ anche questa è fede; una fede espressa in maniera semplice e genuina secondo le forme naturali e spontanee della “bassa stratificazione sociale” è cioè il popolo.
Che bello l’altro giorno vedere proprio qui a Termini Imerese, tanti bambini “inscenare” una processione con la loro piccola vara e una statuetta della Immacolata; che bello vederli gioire come fosse un gioco, e sentirli gridare: “E chiamamula ca n’aiuta” ! In una città in cui negli ultimi anni si è fatta terra bruciata intorno alla religiosità popolare, è questo un segno di speranza e un gesto di coraggio. Se non sappiamo cogliere queste differenze e queste opportunità, se non sappiamo accettare questi “compromessi”, le processioni diventano una pratica inutile e fine a se stessa. Il santo può anche restarsene tranquillamente in chiesa e godersi il meritato riposo.
CONTENUTO A CURA DI NANDO CIMINO
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