Asilo: quando l’adattamento del piccolo è difficile

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La prima esperienza fuori casa dei bimbi senza mamma e papà può creare disagi. Il segreto per superarli? Una stretta collaborazione e un dialogo costante tra educatori e genitori.

L’inserimento del bambino al nido o all’asilo comporta la ricerca di nuovi equilibri in famiglia.

Non solo da un punto di vista organizzativo, ma perché il piccolo comincia a vivere esperienze al di fuori della casa e dell’ambito familiare, provando il primo distacco dai genitori e dai nonni. Ovviamente mamma e papà devono essere tranquilli nel delegare ad altri la cura del loro bambino, e possono prendersi il loro tempo, anche per scegliere la struttura che ritengono più adatta.

Non bisogna esitare nel chiedere tutte le informazioni necessarie sul luogo, su come avviene l’inserimento al nido e sui metodi. Le linee guida del Ministero dell’Istruzione sull’inserimento (o ambientamento) prescrivono: “Non è il bambino che deve adattarsi al contesto, ma è quest’ultimo che deve essere predisposto affinché il bambino possa ambientarsi, utilizzare tutte le proprie risorse e sviluppare tutte le proprie potenzialità”.

Nei primi giorni il bambino sta con l’educatrice e gli altri bambini col genitore, per un paio d’ore o una mattina; poi pian piano si allunga la permanenza senza il genitore, da qualche giorno a una settimana, fino a diventare una costante routine quotidiana. Il bambino può andare al nido a 6 mesi o a 2 anni, e spetta a mamma e papà valutare il momento migliore per lui, anche in base al suo carattere – più o meno socievole, “vergognoso” con gli estranei… –  o, per esempio, al desiderio della mamma di continuare in serenità l’allattamento. «Allo stesso modo, il tempo necessario per conoscere il nuovo ambiente e le persone – insegnanti, compagni – e integrarsi non è definibile, perché ogni bambino ha il suo. L’inserimento è un processo molto soggettivo, dipende dall’età, da eventuali esperienze precedenti con altri bambini, fratellini o cuginetti, per esempio», spiega Federica Benassi, counselor familiare e responsabile da 28 anni di un asilo nido a Bologna.

«Le educatrici sono preparate per seguire l’emotività del bambino e accoglierlo nel modo migliore, con la collaborazione di genitori e nonni, perché possa acquisire  sempre più autonomia e sicurezza. Le prime settimane possono essere un po’ complicate, ma ovviamente l’opposizione di un bambino di un anno può avere cause differenti rispetto a quelle di un bambino di due anni e mezzo. In ogni caso, è fondamentale la relazione di fiducia tra genitori ed educatori: questi ultimi devono sempre comunicare come stanno andando le cose quando la mamma non è più presente e a sua volta il genitore deve dire com’è il bambino quando torna a casa.

Quando cominciano a insorgere i primi capricci o c’è qualcosa che non va – il bambino si sveglia di notte, si rifiuta di mangiare, –  la collaborazione diventa ancora più essenziale: è successo qualcosa all’asilo o è un momentaneo “nervosismo” del bambino?  I bambini hanno la consapevolezza di essere lasciati senza il genitore e prima o poi piangono».

Il bimbo piange per l’assenza della mamma, ma poi si fa consolare dall’educatore; piange quando il genitore torna a prenderlo (quasi un “dove sei stato?”) e si fa consolare da lui. «Ma anche se il pianto è insistente, il genitore non deve arrendersi, ma continuare a portare il bimbo all’asilo: se cede, c’è il rischio che il piccolo non ritorni più. I bambini “ci provano”, fa parte della dinamica dell’inserimento, e non bisogna spaventarsi». Se il bambino è più grande e consapevole, e verbalizza un disagio o lo manifesta in altri modi, per esempio ha nausea al momento di uscire, «Non bisogna farsi prendere dall’ansia, ma parlarne subito con le educatrici: a volte basta una spinta preso da un altro bambino per creare una crisi, perciò si comincia col monitorare i piccoli, e si può anche valutare l’intervento di una pedagogista esterna che, a sua volta, osserva i bambini. Da evitare, invece, le chiacchiere con altri genitori fuori dalla scuola o, peggio, nelle chat di whatsapp». E con il bambino? «Seguire la regola delle A: amore, affetto, accoglienza e ascolto, facendo in modo che esprima il suo disagio, senza minimizzare né ridicolizzarlo, e, tanto meno, incoraggiarne l’aggressività con “e tu spingilo più forte”».

Per padre Giovanni Calcara, domenicano del convento San Domenico di Palermo, «La vita è un dono di Dio e i genitori partecipano al suo progetto sull’umanità.

Padre Giovanni Calcara

Mamma e papà custodiscono questo dono con il timore e il rispetto della santità che hanno fra le mani, cioè il valore sacro della vita, ma anche facendosi carico delle proprie responsabilità: tra queste c’è il taglio simbolico del cordone ombelicale che consiste nel distacco per accompagnare il bambino in una scuola dell’infanzia, senza il quale non potrebbe avere una sua vita autonoma. Nell’inserimento in una struttura diversa dalla famiglia porterà con sé ciò che ha ricevuto con le persone con le quali è cresciuto: se il bambino è autonomo, abituato ad accettare le novità, a conoscere nuove persone, ad assaggiare i cibi, a rispettare le regole e gli altri, il distacco e l’ambientamento non saranno così traumatici. Viceversa se, per esempio, mangia già con davanti un tablet con i cartoni animati. I genitori, spesso, pur di non sentire piangere il bambino ne subiscono i capricci: i suoi bisogni vanno rispettati, ma è necessario anche fargli capire pian piano che al centro cdi deve essere la relazione con gli altri. Il primo impatto con la scuola dell’infanzia è molto importante anche per la sua educazione futura» .

 

 

Mariateresa Truncellito

In “Maria con te” n. 41 del 13 ottobre 2024

 

 
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