La quindicenne voleva a tutti i costi un piercing, perché “è fico e ce l’hanno tutte le mie
amiche”. La mamma ha detto no: oltre a trovarlo sgradevole, non si sente tranquilla sulla
sicurezza e soprattutto pensa che la figlia sia troppo piccola per “manipolare” il suo corpo.
Infatti lei e il padre non hanno resistito alla moda del tatuaggio, ma alla ragazza hanno
imposto di aspettare almeno il 18° compleanno.
Il problema è che lei, dopo aver sbuffato,
insistito e minacciato, senza dire nulla si è messa un anellino al naso, seguendo un tutorial
sul web. Adesso la mamma non sa se essere più arrabbiata per la rischiosa operazione
fai-da-te, per il risultato estetico o per la disubbidienza. Un no è un no, e andrebbe
rispettato. Ma ora che il danno è fatto, come regolarsi?
Premettendo che la legge italiana
oltre a vietare ai professionisti di eseguire tatuaggi e piercing, escluso il piercing al
padiglione auricolare, ai minori di anni quattordici, vieta loro anche di eseguire tatuaggi e
piercing in sedi anatomiche nelle quali sono possibili conseguenze invalidanti permanenti.
Allo stesso modo, il tatuaggio per i minorenni è possibile solo se hanno almeno compiuto
sedici anni e con il consenso di entrambi i genitori.
«È bene provare a interpretare la
violazione del divieto, cercandone il senso», risponde Benedetta Comazzi, psicologa a
Milano. «Il genitore tende a leggere questi comportamenti come una provocazione o un
dispetto: “Perché mi hai fatto questo?”. In realtà non è per forza e sempre così: il gesto
può anche essere l’espressione di un bisogno “altro” dal piercing: bisogno di attenzione, di
essere visto, di sperimentare qualcosa di nuovo, di testare il corpo che cresce, prendendo
il sopravvento su qualcosa che sta cambiando senza poterci fare nulla. Il corpo diventa un
contenitore del mondo emotivo che appesantisce e confonde, e una valvola di sfogo. È
pure vero, certo, che in questa fase della crescita ragazzi e ragazze definiscono la loro
identità anche attraverso il contrasto delle regole genitoriali. La violazione del divieto
quindi è un po’ inevitabile, e perciò va gestita e integrata cercando di darle un senso e
spiegando al figlio con calma il proprio punto di vista. Arrabbiarsi è la prima, comprensibile
reazione di pancia, ma poi bisogna contestualizzare insieme a lui ciò che è successo.
Mettendolo anche in sicurezza: il senso del limite è definito dai rischi di piercing e tatuaggi,
e soprattutto del fai-da-te, visto che gli operatori professionali sono soggetti a normative e
offrono quindi maggiori garanzie sul fatto che non ci siano conseguenze per la salute».
È utile anche che il genitore, di più se è tatuato a sua volta, cerchi di capire il senso del
tatuaggio e del piercing nella cultura sociale in cui sta crescendo il ragazzo che è diversa
da quella in cui è cresciuto lui. «Bisogna cercare di sospendere il giudizio, che a volte
viene automatico su quello che oggi è di “moda”. È chiaro che il compito del genitore è
anche arrabbiarsi, veicolare la regola e rafforzare il concetto di fronte a una violazione,
agendo da “contenitore” nei confronti del figlio che, a sua volta, nell’adolescenza, ha il
“compito” – anche suo malgrado – di violare la regola perché fa parte del cammino verso
l’età adulta. Ma mettersi in ascolto e farsi capire, spiegando le proprie preoccupazioni, è
altrettanto indispensabile: non ci può essere solo la sgridata e la punizione perché così
non diamo ai ragazzi gli strumenti per leggere le nostre emozioni».
Per padre Giovanni Calcara, domenicano del convento San Domenico di Palermo,
«Nell’età adolescenziale il conflitto con i genitori è inevitabile anche per chi si sforza di
essere “amico” dei figli, e ciò vale, in varia misura, anche per gli insegnanti e per gli
educatori. La strada è sempre quella del dialogo, sensibilizzando in maniera preventiva –
anche quando i figli sono ancora piccoli – sui rischi di piercing e tatuaggi, in particolare se
fatti da persone “improvvisate”, fuori da centri professionali o addirittura tra amici o da soli,
senza tutele igieniche, magari con utensili non sterilizzati o monouso o inchiostri di dubbia
provenienza, e in parti anatomiche delicate. I ragazzi non sempre sono consapevoli di
rischi e conseguenze, sono più sensibili alle mode, senza sapere nemmeno il significato di
un orecchino che, per esempio, veniva messo dai marinai perché in caso di naufragio
sarebbe servito per pagare una degna sepoltura o del tatuaggio che era segno di un clan,
una professione, un’etnia. Per non dire del fatto di imprimersi una scritta indelebile – non
sempre le tecniche attuali permettono cancellazioni definitive – e magari in una zona molto
visibile, potrebbe costituire un ostacolo nel momento in cui si cerca un lavoro. Sono tutti
aspetti sui quali bisognerebbe far riflettere i ragazzi, prima che compiano scelte avventate,
sull’onda dell’emotività o per imitare un amico o per sancire l’appartenenza a un gruppo.
Sicuramente vale la pena di approfondire perché il figlio o la figlia appena adolescente
vuole a tutti i costi farsi un piercing, sempre con il fine di aiutarlo a tutelarsi, prima di tutto
la salute. In ogni caso, dal conflitto bisogna necessariamente passare al dialogo».
Mariateresa Truncellito
“Maria con te” n. 39 del 29 settembre
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