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Termini Imerese: a strata ri cannili

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La chiamavano popolarmente “a strata ri cannili”; qui c’era infatti la fabbrica della famiglia Aguglia; via che doveva esser così frequentata, che già nel 1878, quando fu messa a punto la toponomastica cittadina, sembrò del tutto naturale denominarla proprio Vico Aguglia.

La strada si trova tra la via allora chiamata del Cavaliere, oggi Ugdulena, e la via Nuova Stesicoro. Nella lista dei commercianti termitani del 1902 il negozio di cera risultava intestato a tale Luigi Aguglia fu Salvatore; non è quindi da escludere che per diversi anni, l’attività si trovò a passare di mano tra familiari. A Termini Imerese il cognome Aguglia è sempre stato parecchio popolare; sicuramente il più conosciuto fu l’On.le Francesco Aguglia, dal 1892 deputato al Parlamento, che tanto si impegnò per la città. A lui infatti, in segno di riconoscimento, e mentre era ancora in vita, si decise di intitolare la nuova villa comunale costruita nella parte bassa della città giusto accanto al Grand Hotel delle Terme. Gli Aguglia, alcuni parenti fra di loro, per tanti anni caratterizzarono, ed in parte è ancora così, il commercio termitano. Sin dall’ottocento infatti, oltre alla già citata fabbrica di cera, c’era anche un noto negozio di tessuti gestito da Aguglia Beniamino di Gaetano, aperto addirittura nel 1850, poi due fabbriche di sapone intestate una ad Aguglia Francesco Paolo di Salvatore, ed un’altra ad Aguglia Giuseppe di Salvatore; e c’era pure una rivendita di sapone di cui risultava invece essere titolare Aguglia Salvatore. A quei tempi la cera era un prodotto molto richiesto; e, sempre in Corso Umberto e Margherita, almeno fin negli anni sessanta del novecento, rimase in attività un frequentatissimo negozio di cui era invece titolare tale Antonino lo Presti.

Insieme al lume a petrolio, i stiarini o i cannili di cira, costituivano in numerose case, soprattutto se di campagna, l’unica fonte di illuminazione; senza contare poi le tante processioni dove i fedeli, per grazia ricevuta, portavano in omaggio al santo grosse candele, popolarmente chiamate “brannuni”. Ecco perciò che queste usanze avevano generato anche la nascita di numerosi proverbi del tipo:
“A cira squagghia e u santu un camina”; oppure “O lustru da cannila puru u cannavazzu pari tila”; e ancora “A ogni santu a sò cannila”, o “A lumi ri cannila, ne fimmina ne tila”.

CONTENUTO E FOTO A CURA DI NANDO CIMINO
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Redazione

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