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Cognomi ebraici a Termini Imerese

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Risiedevano in un vasto perimetro urbano che aveva come sua parte principale il Piano Barlaci, nella zona alta della città. Era infatti questa la cosiddetta giudecca termitana; e li, dove c’è oggi la chiesa di San Marco, avevano anche la loro sinagoga. Ad abitarvi, almeno secondo gli storici, erano in circa 400; un numero non indifferente se si tiene conto che la popolazione della nostra città era allora molto inferiore di quanto è oggi.

Ed infatti, secondo un calcolo attendibile fatto dagli studiosi, in quei posti dove c’erano comunità giudaiche, il loro numero corrispondeva in genere a non meno del 5% dei residenti. In Sicilia la massima percentuale fu raggiunta a Marsala, dove si arrivò quasi al 50%. Convivevano in pace con le popolazioni del posto ed erano molto impegnati nel lavoro e negli affari; dedicandosi con profitto all’artigianato e al commercio. Molti facevano lavori umili; ma qualcuno praticava anche il prestito ad usura, e per questo non sempre era ben visto.

In genere non ricoprivano cariche pubbliche; ma a Termini Imerese, uno di essi, tale Brachono Taguil, nel 1438 risulta essere titolare dell’ufficio di vice secreto. Quando il 12 settembre 1467 il Vicerè D. Lupo Ximen Durrea concesse il Piano Barlaci ai Domenicani, costoro fecero di tutto per cacciarne gli ebrei, e vi riuscirono poi facilmente, a seguito del decreto di Ferdinando II, che ne ordinava l’espulsione da tutti i suoi territori. Quello del 18 giugno 1492 fu un vero e proprio editto; con il quale, pena la morte, si obbligavano gli ebrei a lasciare la Sicilia entro tre mesi. Gli Ebrei si trovavano nella nostra terra sin dal periodo biblico; ovvero da quando, a seguito della diaspora, erano stati costretti a lasciare i luoghi di Palestina.

Questo fenomeno migratorio si era ancor più accentuato allorchè, nel 70 d.C., essi erano stati espulsi dalla Giudea e molti erano pure stati venduti come schiavi. Nell’immaginario collettivo, ed ancora in qualcuno oggi esiste questo pregiudizio, essi sono considerati come i discendenti di quel sinedrio che aveva condannato Gesù a morte; e quindi ulteriore motivo che è costato loro le tante persecuzioni.

Così come in generale accadde in ogni parte della Sicilia, anche da Termini non tutti andarono via; e molti, pur di restare, abiurarono la propria religione e perciò considerati marrani. Della presenza ebraica a Termini Imerese rimangono ancora, e ben identificabili, i luoghi. C’è infatti il Piano Barlaci, centro nevralgico della loro giudecca, e c’è anche la vecchia sinagoga; che fra Girolamo di Leo, termitano, col permesso del pontefice Alessandro VI, fece convertire in monastero di clarisse, sotto il titolo di San Marco.

Ma, retaggio di quel lontano passato, resistono pure tanti cognomi, ben presenti in vari luoghi di Sicilia ma anche nella nostra città. Cognomi che, secondo gli studiosi, sono pure essi di chiara origine ebraica. A Termini Imerese, e giusto per citare i più comuni, sono per esempio tanti coloro che si chiamano Catalano; appellativo questo che ci riporta alla Catalogna, ovvero agli ebrei sefarditi di Spagna. Ma nella nostra città abbiamo pure molti che si chiamano Liuzzo, Castro, Piazza, Romano, Greco, Di Carlo, Sansone, Di Maria; e poi anche Ognibene, Lo Cascio, Cimino. Questi ultimi, in parte provenienti da altre zone della Sicilia, li ritroviamo nel territorio di Termini nel 1799 tra quelli che popolarono il borgo di Villàurea nel feudo “Signora”. A questi vanno aggiunti pure quelli che portano i cognomi di Tedesco, Sacco, Elia, Bonafede e Morreale, Geraci; tutti appellativi che, secondo gli esperti, sono riconducibili ad antiche ascendenze ebraiche.

Contenuto a cura di Nando Cimino
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Redazione

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