Il capitolo scuola sembrava chiuso fino a settembre. E invece no: il figlio sedicenne ha
espresso ad alta voce ciò che desidera da un po’ (si è già informato su come realizzarlo):
trascorrere un anno o almeno un trimestre all’estero. I genitori hanno mille paure: su
famiglia ospitante, conoscenza della lingua, la possibilità che sia rimasto indietro al ritorno,
i rischi nelle relazioni sociali – amici, amori, insegnanti, compagni di scuola, amici –, la
nostalgia di casa… Secondo una ricerca condotta da WEP, organizzazione nel settore
degli scambi culturali e linguistici, tra oltre mille studenti e genitori che hanno sperimentato
un viaggio studio all’estero con ospitalità in famiglia, le paure più rilevanti sono
effettivamente sul rapporto con la famiglia, la difficoltà di inserimento e il recupero dei
programmi scolastici italiani dopo il rientro. Ma proprio la famiglia può fare la differenza:
il 66 per cento degli studenti sostiene che il rapporto con gli ospitanti ha aiutato a
superare paure e pregiudizi, e il 78 per cento ha mantenuto contatti al ritorno. Quanto a
ripercussioni negative sulla media scolastica al ritorno, per ben il 45 per cento degli
studenti si è alzata e per il restante si è mantenuta costante. Inoltre, 8
rispondenti su 10 (79 per cento) conseguono all’esame di maturità una votazione
superiore ad 80. È ancora possibile candidarsi per l’anno scolastico 2024/2025 per le
famiglie italiane che vogliono aderire al programma di ospitalità WEP di studenti
internazionali e sono aperte le iscrizioni per i soggiorni studio all’estero per l’anno
scolastico 2025/2026 con 70 borse di studio (www.wep.it/). Per Benedetta Comazzi,
psicologa a Milano, «Durante l’adolescenza i ragazzi devono passare da uno stato di
dipendenza a uno di autonomia, in cui non sono più i genitori a soddisfare i loro bisogni e
devono provvedere da soli. Ma questo passaggio lo devono fare anche i genitori, e non è
facile imparare a farsi da parte, con tutte le paure che ciò comporta. Per superarle,
bisogna ascoltarle, legittimarle e cercare di affrontarle attivamente, senza subirle: per
cercare un’associazione che dà fiducia, prendere informazioni sulla famiglia ospitante,
trovare un docente madrelingua così che il ragazzo prima di partire possa migliorare le
conoscenze linguistiche (anche con lezioni/chiacchierate in videochiamata), guardare
insieme dei film in lingua originale o partecipare a aperitivi in lingua o altri eventi divertenti
che possono diventare anche un’occasione per fortificare il legame genitori e figli,
ripensare a quando magari in passato il ragazzo ha già dovuto recuperare lacune nel
programma e come se l’era cavata, affrontare il discorso sui rischi relazionali così da
preparare il ragazzo o la ragazza a prevenire situazioni sgradevoli o pericolose…». Va
tenuta in considerazione anche la personalità del figlio: «Se è curioso, motivato, spigliato,
ama le sfide dovremmo considerarlo un aspetto tranquillizzante. In ogni caso, andare a
studiare all’estero ha molti vantaggi: dal banale dover fare – e quindi imparare – a gestire
da solo le cose pratiche a un incremento della sua intelligenza emotiva». È normale che i
genitori vogliano proteggere i figlio, «Ma la crescita avviene proprio affrontando le
frustrazioni: imparare a tollerarle e gestirle è indispensabile per diventare un adulto
autonomo e strutturato». E se la famiglia non ha grandi risorse economiche? «Credo che,
oltre a ricercare borse di studio e sostegni analoghi, se effettivamente non è possibile, non
è detto che in futuro il figlio non possa comunque fare un’esperienza all’estero: come
ragazza alla pari, per esempio facendo la babysitter nella famiglia ospitante, o sfruttando i
programmi Erasmus all’università», conclude la psicologa.
Per padre Giovanni Calcara, domenicano del Convento San Domenico di Palermo, «I
genitori devono sempre commisurare le modalità di accudimento verso i figli alla loro età,
se vogliono farli crescere come persone responsabili, capaci di autodeterminarsi e di
compiere scelte per il proprio bene e per il proprio futuro. Ciò che dovrebbero fare, è
quindi aiutare il ragazzo a capire se la scelta di un periodo di studio all’estero è la più
opportuna e fattibile in quel momento, se è utile per la sua crescita culturale e umana e
verificare le condizioni, controllare la validità e la sicurezza del progetto, tenere un contatto
con referenti e responsabili dell’organizzazione a cui ci si appoggia. L’amore dei genitori
per i figli presuppone il loro bene, non il proprio bene o l’imposizione della propria visione
di vita. Le paure sono comprensibili, senza però trascurare il fatto che molte cose che si
temono per l’estero possono avvenire anche sotto casa o nella scuola frequentata
abitualmente o durante una vacanza: bisogna coltivare nei figli il loro senso di
responsabilità e la loro capacità di gestirsi in sicurezza fin da piccoli e in qualsiasi
situazione. Se hanno imparato a gestire il tempo dello studio e quello libero, continueranno
a farlo anche lontani da casa: l’amore senza libertà e fiducia non è amore, ma
paternalismo e controllo».
Mariateresa Truncellito
In “Maria con te” n. 29 del 21 luglio
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