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Termini Imerese: a ‘ntinna a mari e a passata ru sivu

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Quello della ‘nsivatura o della “passata ru sivu”, era un vera e propria “liturgia” che doveva esser fatta da mani esperte; e per questo, colui che la eseguiva, era soprannominato anche “u mastru ru sivu”. Come avrete capito vi parlo della famosa “ ‘ntinna a mari ”; gioco popolare che a Termini Imerese ha origini antiche e che è ritornato in auge lo scorso anno grazie ad un gruppo di volenterosi che lo hanno riproposto, e a dire il vero con successo, in occasione dei festeggiamenti della Madonna della Catena.

Come saprete, u sivu, in italiano sego, è quel grasso di origine animale che, nel nostro caso, serviva a rendere ancora più precario l’equilibrio di quanti si cimentavano nella spettacolare gara. Steso il lungo palo in orizzontale sul mare, prima che venisse messo in tiro, ovvero quando era ancora leggermente inclinato verso il basso, si dava il via alla operazione che in passato si effettuava grazie all’ausilio di un “vuzzareddu”; piccolo natante a remi su cui prendeva posto “u mastru”, che iniziava così il suo meticoloso lavoro. Val la pena ricordare che anticamente i pescatori termitani avevano buona dimestichezza con la ‘nsivatura; procedimento che spesso veniva adottato quando c’era da tirare a secco le piccole barche, ovvero vuzzareddi e lanciteddi, che, per rendere meno faticoso il lavoro, venivano fatte scivolare su un palo tondo o su una tavola ‘nsivata, popolarmente chiamata a falanca (falanga).

Per ‘nsivare a ‘ntinna a mari si aspettava che il sole fosse già alto e avesse ben riscaldato il palo con i suoi raggi. Questo accorgimento faceva si che il grasso potesse in parte sciogliersi, penetrando nei pori del legno e quindi garantendo una maggiore presa sullo stesso. In questo caso si evitava infatti che esso potesse staccarsi già ai primi passaggi dei concorrenti, facilitando poi il raggiungimento “prematuro” della bandiera. Insomma si faceva di tutto per allungare il più possibile la gara e renderla maggiormente difficoltosa e spettacolare. U mastru ru sivu, con le sue mani esperte, quasi massaggiava il legno; per far si che il palo, almeno nella sua parte superiore, potesse impregnarsi in maniera omogenea.

In genere il grasso utilizzato era quello bianco di maiale, “u sivu ri porcu”; lo stesso che tanti, con opportuni accorgimenti, adoperavano in casa per preparare lo strutto. Ma quella operazione, effettuata una volta l’anno, quasi come fosse un rito magico, aveva per il legno anche una funzione “terapeutica”. Il lungo palo infatti, esaurito il suo compito di attrezzo da divertimento, veniva spesso conservato all’aria aperta nella stessa zona del porto; ovvero esposto agli agenti atmosferici.

E quindi quel grasso, precedentemente trattato anche con sale grezzo, per il legno stesso serviva pure da elemento protettivo ed impermeabilizzante. In pratica si trattava di una analoga operazione che, se pur in circostanze diverse, vedevo spesso fare anche a tanti contadini termitani; i quali, con il grasso artigianale, ‘nsivavinu i loro scarponi da lavoro, per far si che potessero conservarsi morbidi e resistere più a lungo ad acqua e fango.

Aggiungo in conclusione e per completezza di informazione, che in Sicilia la parola “sivu” viene utilizzata anche con altri significati. Di chi infatti ha sempre voglia di scherzare, ancora oggi si dice che “avi u sivu”; altrettanto di chi è pieno di boria e arrogante. Ciò detto…Buona ‘ntinna a mari a tutti !

(Nella foto del 2023 la difficile operazione di ancoraggio e messa in tiro del pesante palo, testo a cura di Nando Cimino)


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Redazione

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