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Non sempre la cosa era gradita ai più anziani che, evidentemente, amavano la tranquillità. E ricordo di donna Giuvannina, una mia vicina di casa, già avanti con gli anni, che, esasperata, usciva spesso in strada con una vecchia scopa di curina e, brandendola come fosse una spada, gridava: “Santuriantanuni a vuliti finiri?” – Capivo bene che si trattava di una imprecazione; ma, almeno allora, non mi ponevo il problema di sapere cosa volesse significare quel “Santuriantanuni”.
Volli saperlo in seguito; e leggendo vari testi su cose siciliane, scoprii che in realtà quel nome era una scappatoia lessicale. Infatti la originaria imprecazione era quella di “Santu riavulu”. Ma, questa forma di sfogo dalle arrabbiature, che era ritenuta una bestemmia, ed a pensarci bene come poteva mai esser santo il diavolo, già da secoli era stata rigorosamente vietata. Ed infatti in alcuni documenti di metà seicento del nostro comune, è trascritto una sorta di decalogo comportamentale al quale i nostri concittadini dovevano adeguarsi. Ed in merito, in uno degli articoli era riportato così:
“….perchè facendo santo il nome del diavolo si offende la Maestà di Dio alchè conviene darsi rimedio e per questo si ordina che tutte queste persone che facevano santo il nome del diavolo siano in pena….”
Chiaro quindi che a dire in questo modo si rischiava grosso; per punizione erano infatti previste anche pene corporali, tipo la perforazione della lingua. Sicuramente era una legge che in origine valeva per tutto il regno e non solo per Termini Imerese. E quindi i siciliani, abituati a quel modo di dire, ma evidentemente anche “affezionati” a quella contumelia, trovarono subito l’alternativa. E così trasformarono il “santu riavulu” in “santuriantini”; o, quando proprio scappava la pazienza e si voleva esagerare, in “santuriantanuni”. Ancora oggi c’è qualche anziano a cui la sento dire; e questo mi fa tornare in mente la mia fanciullezza, con anche il ricordo di una vecchia invettiva termitana, sotto forma di tiritera, che faceva pressappoco così:
Santuriantini vatinni arrassu,
un mi ‘nzullintàri ca a facci ti scassu,
Santuriantini lassimi stari
sennò ti fazzu assintumàri!
(Nella foto Malagigi e Naccalone, della collezione Canino in esposizione al Circolo Margherita).
Testo a cura di Nando Cimino
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