Anita e Lorenzo stavano insieme dalla seconda superiore, e tutti davano per scontato che si sarebbero sposati o sarebbero andati a vivere insieme, una volta completati gli studi. E invece, proprio adesso che entrambi hanno un lavoro e sembrava cosa fatta, nella sorpresa generale di genitori, amici e parenti, si sono lasciati. «Dopo dieci anni, eravamo solo buoni amici», ha spiegato lei alla madre. Si cresce, si cambia e succede che le strade si dividano.
Questa sarà dunque la sua prima estate da single, Anita non alcuna idea di come trascorrere le vacanze ed è un po’ preoccupata all’idea di rimanere nell’afa cittadina quando non ci sarà più nessuno. La madre non sa cosa suggerirle: riprendere contatto con amiche con cui non ha rapporti da tempo? Aggregarsi a un gruppo di sconosciuti in una “vacanza avventura” low cost?
Andare in agenzia e comprare un soggiorno in un villaggio vacanze per single?
O proporle, dopo anni, due settimane al mare o in montagna con mamma e papà, come quando era ragazzina?
«La fine di una relazione è un evento traumatico, spesso paragonato a un lutto perché si configura come una perdita e perché le fasi di ripresa sono simili all’elaborazione di un lutto», commenta Benedetta Comazzi, psicologa a Milano.
«Si tratta di una perdita importante, se si tratta di una storia d’amore duratura e con tutte le premesse per concludersi con la formazione di una famiglia. E perciò può produrre varie conseguenze, sia a livello psicologico che fisico. La fine di una relazione costringe a rivedere prospettive, progetti, piani – anche quelli per le vacanze – e a ridefinire le priorità, all’interno di un contesto che è cambiato, ed è magari molto diverso da quello vissuto per molti anni. Anche perché in una relazione è naturale affidare la soddisfazione di alcuni bisogni all’altro: quando si arriva al capolinea, è come se questi bisogni ci fossero rigettati indietro e dovessimo re-imparare a occuparcene direttamente.
Quindi è necessaria anche una riprogrammazione di sé stessi». Vale ovviamente anche per le cose più pratiche, e quindi anche per le vacanze: «È importante fare ciò che è più in sintonia con il proprio vissuto emotivo. Se si è in una fase di tristezza profonda, è normale non avere voglia di aggregarsi a una comitiva rumorosa o di uscire tutte le sere. Se ci si sforza di opporsi al proprio vissuto emotivo si entra in una dissonanza tra ciò che si fa e ciò che si prova che rischia di farci stare solo peggio. È vero però che aprirsi all’altro, a nuove conoscenze o alle amicizie di sempre che magari si offrono di farci compagnia significa affidarsi a una rete sociale che fa da cuscinetto e attutisce il peso dello stress e del carico emotivo. Al di là della scelta del luogo e della modalità – tutte le opzioni immaginate dalla madre della ragazza sono valide -, è bene optare per una vacanza che generi rinforzi positivi, energia, voglia di fare e quindi bisogna fare qualcosa che piace: per esempio, se si ama la montagna, ma per anni si è andate al mare perché il fidanzato lo preferiva, è l’occasione per tornarci, magari con una amica.
Ciò è più gratificante, aiuta a ridurre il rimuginare su cosa è stato e cosa si è perso». Allo stesso modo, è importante anche imparare a stare di nuovo con se stessi: «Capire chi si è diventati e valorizzare i momenti di solitudine, anche “allenandosi” con brevi esperienze in solitaria – lo shopping, andare al cinema – vedere come ci si sente. Anche mettersi in gioco in una vacanza con un gruppo di sconosciuti può essere stimolante, e lo stesso ritornare alle origini andando in una pensione con i genitori, come quando si era bambini, ma in ogni caso bisogna sentirsi pronti per farlo, altrimenti si rischiano frustrazioni che possono indurre addirittura a tornare a casa prima del previsto».
Per padre Giovanni Calcara, domenicano del Convento San Domenico di Palermo, «I motivi che possono portare alla fine di un rapporto iniziato nell’adolescenza, quando forse era troppo presto, e terminato quando si dovrebbe essere finalmente arrivati alla maturità affettiva e psicologica, possono essere anche un segno di ingresso effettivo nell’età adulta: la comprensione, cioè, che l’altra persona non era quel dono che Dio ci mette accanto per la nostra santificazione.
L’interruzione può essere un segno di maturità, e ciò che ne segue può essere anche serenità ed equilibrio, non necessariamente tristezza e depressione.
Diverso è il caso di un rapporto che si interrompe traumaticamente, per un abbandono, una nuova relazione, un evento imprevisto. In questi casi, può essere indispensabile l’accompagnamento di uno specialista, mentre i familiari dovrebbero lasciare libera la persona di scegliere ciò che la fa stare meglio: riprendere i rapporti con i vecchi amici, mettersi alla prova con un lavoro stagionale o un’esperienza di volontariato in un campo estivo, senza farle pressioni, darle soluzioni precostituite o giudicarla per quanto successo.
Può essere un tempo di “vuoto” utile per ritrovarsi con se stessa, concedersi in un tempo di riflessione per recuperare idealità della vita perse nel rapporto esclusivo col fidanzato, risanando anche le cicatrici che la rottura ha inevitabilmente lasciato».
Mariateresa Truncellito
In “Maria con te” n. 28 del 14 luglio
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