Si avvicina la fine dell’anno scolastico, e sulla chat di classe si parla del regalo per le
insegnanti: c’è chi propone “cofanetti per weekend o cene”, chi la classica pianta, chi
bigiotteria artigianale, chi cassette di vini… E via discettando sulla cifra che ogni genitore
dovrebbe mettere a disposizione.
Un tempo il “pensierino” per la maestra (che, dettaglio
non trascurabile, era una sola e magari la stessa per cinque anni) era per lo più
un’iniziativa individuale, spesso del genitore riconoscente per il sostegno al figlio in un
momento difficile o come gesto d’affetto per colei che non di rado veniva considerata quasi
una “vice-mamma”.
Ma oggi che tutto si compra con un click, e il consumismo è diventato
ancora più sfrenato, spesso è un obbligo sociale ripetuto: un dono per Natale, per Pasqua
e fine anno, e, se lo si conosce, anche per il compleanno. Non tutti sanno che dal 2000
esiste un decreto che vieta agi dipendenti della pubblica amministrazione, insegnanti
compresi, di accettare regali da parte dei genitori, “salvo quelli di modico valore”,
interpretato come non oltre i 150 euro. Al di là della norma, non tutti i genitori sono
d’accordo (anche perché non tutti hanno la stessa disponibilità economica): c’è chi si
adegua per quieto vivere o temendo il giudizio degli insegnanti, ma è irritato e si sfoga alle
spalle dei più zelanti; o chi manifesta aperta opposizione e viene considerato un
guastafeste (o un avaro). E malumori e liti corrono su whatsapp.
«Fare ciò che è socialmente “giusto” oppure fare ciò che realmente ci sentiremmo di
fare?», chiede Benedetta Comazzi, psicologa a Milano. «A volte non si vorrebbe, ma si ha
paura di risultare bastian contrari, di non soddisfare le aspettative. E chi dice di no,
andando contro al gruppo e deludendo le aspettative, talvolta compromette anche i
rapporti futuri con gli altri genitori».
C’è in gioco anche la gratitudine: «Spesso il regalo agli
insegnanti viene visto come ringraziamento per la passione nel lavoro e la dedizione con i
bambini. D’altra parte, c’è anche chi sostiene che stiano facendo semplicemente il loro
dovere», continua l’esperta.
«In realtà non c’è un atteggiamento giusto o sbagliato,
entrambi i punti di vista sono corretti. La soluzione migliore è cercare un compromesso:
per esempio, concordare quando comincia la scuola, a settembre, che si farà un solo
regalo alle maestre, a fine anno. O proporre un “lavoretto” realizzato dai bambini – cornici,
una raccolta di foto, una serie di messaggi-video di affetto… , – così che abbia un
maggiore significato, oltre a un costo limitato. In ogni caso, è giusta la soluzione che più
incontro ai punti di vista e alle possibilità di tutti i genitori che devono partecipare. Bisogna
valutare caso per caso, senza offendere nessuno e senza offendersi, facendo valere le
proprie ragioni in modo non giudicante, non aggressivo ma assertivo: in chat, per
esempio, con un messaggio che evidenzi il fatto che magari non per tutti può essere facile
partecipare o che ce la sentiamo di fare un solo regalo – magari di maggior valore – alla
fine del ciclo scolastico o quando l’insegnante lascia la classe per un nuovo incarico. Se si
scelgono con cura le parole, è più facile esprimere il proprio disaccordo senza accendere
polemiche: perché in questi casi la forma diventa sostanza», conclude la psicologa.
Per padre Giovanni Calcara, domenicano del convento San Domenico di Palermo, «In tutti
i contesti si è persa la dimensione della gratuità. Gesù non manca di sottolineare il
concetto “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”.
La gratuità implica il
riconoscere il merito dell’altro, in questo caso la dedizione educativa dell’insegnante nei
confronti dei figli. Ma la riconoscenza non va mercificata: codificare in termini materiali
l’affetto e la riconoscenza verso la maestra, che poi in fondo adempie al suo compito, è
diseducativo anche per i bambini, a cui, tra l’altro, arrivano i dissapori tra i genitori. Con le
buone maniere, bisogna far capire che vanno anche rispettate le sensibilità diverse: non
perché si è avari o bastian contrari, ma perché magari si ritiene sproporzionata la ricerca
affannosa di manifestare riconoscenza attraverso gli oggetti e non in altri modi. Il regalo
può essere effettivamente una tantum, per sottolineare l’importanza di un momento, la fine
della scuola primaria, la maestra che va in pensione o cambia città, ma le continue regalie
– che magari non consistono in una pianta o in un mazzo di fiori, ma in qualcosa di
ricercato, come una costosa borsa firmata – possono mettere a disagio anche chi le riceve,
alterandone il senso di libertà senza condizionamenti nel suo rapporto con gli alunni. Un
insegnante si sente gratificato per il rapporto umano che riesce a instaurare con ragazzi e i
genitori – oggi tutt’altro che scontato – senza mercificazioni che banalizzano il rispetto e la
stima verso il suo importante compito educativo. Nulla vieta poi che un genitore faccia un
regalo personale, senza necessariamente pretendere che tutti gli altri lo seguano».
Mariateresa Truncellito
In “Maria con te” n. 21 del 26 maggio
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