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Durante l’adolescenza i ragazzi entrano in un tunnel emotivo e per i genitori, messi da parte, scatta l’allarme per questo cambiamento. Ma è una tappa di crescita necessaria verso l’autonomia.
Aldo fino a ieri era il classico bambino mammone, coccolone, affettuoso e dolcissimo. È cresciuto, ovvio, ma di colpo a 14 anni appena compiuti sta in casa sempre meno – la compagnia è sana, nulla da eccepire, tra scuola, oratorio e pallacanestro, ma preferisce stare davanti al cancello che far salire gli amici – e parla sempre meno con i genitori e la sorella, si chiude in camera sua per “apparire” a cena o se ha bisogno di qualcosa.
In compenso, cura di più l’abbigliamento e ha aumentato in modo spropositato il numero delle docce…
I genitori sospettano ci sia una fidanzatina, ma lui tace: che fare? Indagare per saperne di più? Lasciarlo in pace e dargli fiducia? «Meno male che si sta comportando così», rassicura Benedetta Comazzi, psicologa a Milano.
«È il passaggio naturale dalla dipendenza all’autonomia, ed è ciò che deve succedere in adolescenza. Semmai, da psicologa mi preoccupo se un genitore descrive un teenager sempre compiacente e sempre in casa. È invece fondamentale sperimentare e di sperimentarsi, e il genitore deve solo fargli capire di essere disponibile quando ha bisogno o desidera confrontarsi: il genitore è un porto, il figlio una barca».
Il ragazzo o la ragazza devono essere liberi andare in mare aperto, esplorare, mettersi alla prova sapendo di avere la certezza di poter rientrare in porto.
«In pratica, ci si deve sforzare di non essere troppo invadenti, ma nello stesso tempo cercando di coltivare il dialogo», continua la psicologa.
«Se la strada del “sediamoci, parliamo, raccontami i tuoi problemi” funziona poco, una strategia potrebbe essere agganciarlo con attività che a lui piacciono – sport, hobby… – la cui condivisione può favorire anche le chiacchierate.
Altra strategia, valida anche con i bambini, è aprirsi: raccontare al figlio la propria esperienza, le difficoltà vissute alla loro età, come ci si sentiva e e come si sono risolte.
Anche se il figlio non lo richiede: è importante, perché gli farà capire che siamo come lui, che capiamo ciò che sta passando anche se non ce lo racconta, che comunque a tutto c’è una soluzione o un modo per affrontarlo e questo è molto importante perché, sentendoci simili, lo invoglierà anche a parlarci, quando avrà bisogno.
Infine, è fondamentale mantenere il proprio ruolo e continuare a dare dei limiti: mio figlio non può stare chiuso in camera tutto il tempo, e se ci sono regole e abitudini in casa è importante continuare a veicolargliele.
Il limite, soprattutto durante l’adolescenza, ha un ruolo centrale: favorisce la costruzione della loro identità e del loro sistema di sicurezza, insegnando loro a stare nella frustrazione del limite, a rapportarsi con i limiti, a tollerare l’attesa e così via. I figli hanno il compito di cercare di superare e infrangere il limite, ma i genitori hanno il compito di continuare a porlo, così che si possano sentire arginati in un momento della vita in cui a loro sembra di perdersi».
Per padre Giovanni Calcara, domenicano del convento San Domenico di Palermo, «Le mamme vorrebbero che i figli corrispondessero sempre ai loro parametri valutativi. E invece i bambini crescono e hanno diritto al loro sviluppo personale: al genitore tocca accompagnare questi mutamenti. Gesù era ubbidiente alla madre e al padre, ma, proprio in adolescenza, rivendicava la sua libertà di compiere la volontà di Dio.
Mantenere i rapporti interpersonali, la fiducia, il confidare esperienze non è sempre facile quando ci sono passaggi un po’ particolari, come quello dalla preadolescenza all’adolescenza, i primi innamoramenti, i turbamenti nei rapporti in classe, i confronti con gli amici.
Invece di mettersi a inquisire, i genitori farebbero bene a cogliere eventuali segnali, senza sopravvalutarli né sottovalutarli, ma cercando una strada per entrare in dialogo, per esempio commentando fatti di cronaca per vedere come il ragazzo reagisce oppure creando delle occasioni in famiglia, come una cena ogni tanto che coinvolga tutti i figli o genitori e amici di scuola.
Oggi si danno per scontate molte cose, anche i “tempi standard” da dedicare studio, palestra, amici e invece quando ci sono questi cambiamenti della crescita è bene aiutare i ragazzi anche a capire di chi potersi fidare per potersi aprire se ne hanno bisogno.
Spesso i ragazzi non hanno fiducia in madri e padri, non li ritengono capaci di poterli aiutare e se gli adulti insistono con atteggiamenti asfissianti di controllo, il risultato è una chiusura ancora maggiore fiducia. Non bisogna andare nel panico se il ragazzino o la ragazzina improvvisamente sembrano degli sconosciuti e temono chissà cosa possa accadere: la fiducia reciproca è alla base del dialogo, i genitori non devono abdicare al loro ruolo facendo “gli amici”, ma nemmeno pretende di avere il monopolio della coscienza e della liberà dei figli, rischiando di trasformarsi in “nemici”, invece che in saldi punti di riferimento».
Mariateresa Truncellito
In “Maria con te” n. 20 del 19 maggio
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