Nella chiesa Madre di Termini Imerese c’è una sontuosa cappella del seicento, in cui fa bella mostra di se una suggestiva immagine in marmo della Immacolata, dipinta di un radioso colore oro. Qui, in passato, in tanti vi celebravano i loro matrimoni; ed a maggio, durante il mese mariano, la cappella veniva riccamente addobbata. Ai piedi del simulacro, spicca pure lo stemma della città; Termini infatti, giusto in quel secolo, e per come documenta pure una antica lapide, attraverso i suoi giurati aveva fatto solenne promessa di affidarsi alla totale protezione della Vergine Maria. Sarà stato per la presenza dello stemma, o forse per il fatto che quella statua fosse tutta dipinta in oro, ma pare che tanti termitani, la identificassero pure come “a Maronna di ricchi”.
Questa caratteristica, almeno per quel che si tramanda, fu motivo di una singolare diatriba, per fortuna subito rientrata, allorchè sul finire degli anni settanta del novecento fu deciso che l’altra statua dell’Immacolata, che ancora oggi viene portata in processione, dovesse uscire senza l’oro donato dai fedeli come ex voto.
Quello che qui vi racconto mi venne riferito tanti anni fa da un anziano componente della stessa confraternita della Immacolata; confraternita che allora, come a Termini tanti sanno, era composta principalmente da contadini; e per questo nota anche come “a confraternita ri viddani”. E’ una storia quasi surreale, la cui veridicità non è purtroppo documentata, ma che mi assicurarono esser veramente accaduta.
Si dice che dopo che fu tolto l’oro alla Immacolata, ci fu qualcuno della stessa confraternita il quale per ripicca, ed in evidente dissenso con il clero, si mise in testa, raccogliendo anche non pochi consensi, che a quel punto nessuna altra immagine sacra di quella chiesa dovesse portare segni d’oro. E fu così che si pensò che anche a quella statua così sfavillante, e che da secoli se ne stava li tranquilla per i fatti suoi, dovesse esser cambiato il colore.
Alcuni viddani della confraternita si sentivano infatti discriminati; e dicevano: “Ma picchì a nostra Maronna ni ci ficiru livari l’oru, e a chidda di ricchi no”? La cosa per fortuna non ebbe un seguito; probabilmente anche per il tempestivo intervento della curia, a cui questa stramba idea era subito giunta all’orecchio. Ma, per presunte questioni di equità sociale, anche in quel caso si rischiò di alimentare una ulteriore e inutile polemica.
(Nelle foto, la cappella con “a Maronna di ricchi”, testo a cura di Nando Cimino)
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