Battesimo: quando l’attesa si fa lunga…

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Una volta i bimbi ricevevano il sacramento poco dopo la nascita. Oggi i genitori tendono ad aspettare anche perché i figli siano consapevoli del suo significato. Ma è proprio giusto?

Molti adulti nati fino intorno agli anni Settanta hanno ricevuto il sacramento del battesimo in ospedale, appena vista la luce. Un’urgenza dettata dall’alta mortalità infantile – che spingeva addirittura le ostetriche a impartirlo –  e talvolta da motivazioni pratiche che oggi non ci sono più. Le coppie possono prepararsi con più consapevolezza al momento in cui il loro bambino entrerà a far parte della “famiglia cristiana”, con il parroco e incontri con altri genitori o catechisti. Non c’è fretta, d’accordo. Ma ci sono neo-mamme e papà che rinviano il momento sine die: per la fatica di organizzarsi nei primi mesi col neonato o impegni di lavoro, per aspettare i parenti lontani durante le ferie, perché nel frattempo cresca anche il secondogenito e fare un’unica festa… e per tante altre ragioni che fanno sì che poco ci manca che il piccolo arrivi al fonte battesimale con le sue gambette. Certo, non mancano nonni e zii che fanno pressioni e critiche, per motivazioni di fede, timore del giudizio altrui o grande desiderio festeggiamenti. Il disappunto può diventare anche causa di aspri dissapori se i neo-genitori dicono di voler lasciare la scelta se battezzarsi o no al bambino, quando sarà grande.

«È una questione psico-sociale dovuta ai mutamenti nella società», conferma Benedetta Comazzi, psicologa a Milano. «Sono cambiate le priorità in seguito alla nascita di un bebè: in passato per i genitori era fondamentale mettere subito il piccolo tra le braccia del Signore. Famigliari e vicini si stringevano intorno alla puerpera per non lasciarla mai sola e ciò rendeva meno alto il rischio dei drammi causati dalla depressione post partum. È cresciuta l’attenzione per la salute – pensiamo a tanti esami somministrati al neonato per escludere malattie genetiche o di altra natura – e al benessere di mamma e bambino. Per il battesimo, invece, c’è tempo».

Ma se il battesimo per il credente è prima di tutto un sacramento, con il quale il piccolo viene accolto come membro della chiesa e della comunità dei fedeli, da un punto di vista sociale rappresenta anche un rito di passaggio. «Oggi però questo aspetto viene soddisfatto anche da altri tipi di – si perdoni il termine – “celebrazioni” (per lo più “copiate” dagli Usa) ritenute più “trendy”, soprattutto se l’attaccamento ai valori religiosi è tenue o assente», continua la psicologa. «Come il “Gender Reveal Party”, una festa durante la gravidanza nella quale si svela il sesso del nascituro, e il “Baby Shower” durante il quale amiche e “zie” sommergono (da “shower”, in inglese “doccia”) di regali la mamma in attesa e il bimbo in arrivo».

La decisione di lasciare la scelta del battesimo al figlio quando sarà in grado di farlo è pure una tendenza derivata dai cambiamenti nella società: «E in particolare da un’emancipazione psico-sociale che ha aumentato l’attenzione verso i diritti degli altri, il rispetto della loro volontà con un declino di tutto ciò che è considerato “autoritarismo”, compreso quello che un tempo spettava ai genitori senza che nessun figlio pensasse di metterlo in discussione. Chi vede il battesimo solo come un rito di passaggio e ben augurale, e un’occasione per festeggiare con parenti e amici per poi magari disinteressarsi di continuare ad accompagnare il bambino in un cammino di crescita nella fede, non si pone il problema di una scelta da lasciare al figlio; chi invece lo considera come il segno di un’appartenenza per la vita a un credo religioso, può preferire rinviarlo a quando sarà in grado di dire la sua, magari al momento della Prima comunione o Cresima. E poi, naturalmente, c’è la scelta consapevole di chi non si limita al battesimo, ma intende crescere il proprio figlio nella fede cristiana, compiendo così il primo passo».

Padre Giovanni Calcara, del convento S. Domenico di Palermo, ricorda che «Il sacramento del battesimo è stato istituito da Gesù: si dona e si trasmette come frutto della propria esperienza di fede e di vita. Una coppia che mette al mondo un bambino crede nel valore della vita, e Dio ama chi ama la vita: questo è già un aspetto molto positivo in un’epoca nella quale tanti esitano o addirittura rinunciano perché hanno poca fiducia nel futuro e pochi aiuti nel presente. Ma poi la stessa coppia si fa scrupolo su un sacramento che dovrebbe incidere innanzitutto su di loro: ma il loro figlio non ha nemmeno chiesto di nascere, eppure lo hanno messo al mondo. Il bambino non chiederà di andare a scuola o dal medico: sono i genitori che si preoccuperanno della sua istruzione e della sua salute. Posto che ognuno va lasciato libero di agire secondo la propria coscienza, se ciò non avviene nell’ambito della fede è perché non si vive da credenti. Il battesimo, tuttavia, è comunque un’opportunità: e se la coppia lo chiede per il proprio bambino, dimostrandosi aperta alla realtà sacramentale, potrebbe essere per il parroco un’occasione da non perdere per proporre loro un cammino di fede che dia la possibilità di riavvicinarsi alla chiesa, magari – se sono conviventi o sposati solo civilmente – offendo loro la possibilità di valutare anche il matrimonio religioso, rinsaldando anche i vincoli familiari».

Mariateresa Truncellito In “Maria con te” n. 15 del 14 aprile 
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