La figlia le ha appena regalato
Tommaso, un delizioso nipotino. Ma lei, pur felice per la nascita del bebè, non è impazzita
di gioia per il suo nuovo status di nonna. Anzi, ha già dichiarato che vuole continuare con
le sue attività – volontariato, corsi di cucina e di tedesco, ballo, viaggi… – e, scherzando ma
non troppo, ha detto che vuole vedere il nipotino a piccole dosi.
La figlia e il genero
speravano in un maggiore appoggio e la consuocera è scandalizzata. «Ma la nonna
riluttante non è una cattiva madre – e quindi una cattiva nonna – che non vuole dare una
mano alla figlia», spiega Benedetta Comazzi, psicologa a Milano. «Il punto è semmai la
fatica di accettare un ruolo che probabilmente la spaventa per ciò che simboleggia:
l’avanzare del tempo, il confronto con i limiti, la paura di invecchiare prima del tempo per il
ruolo che ci si trova a rivestire».
Un sentimento oggi – un’epoca di eterno giovanilismo –
molto diffuso: «Nella quotidianità tendiamo a usare stereotipi per facilitare il nostro
orientamento nel mondo. Se vediamo un uomo coi capelli grigi pensiamo che sia anziano,
a una donna attribuiamo caratteristiche di maternità, cura, dolcezza e così via: gli
stereotipi hanno un vantaggio, ci aiutano a risparmiare cognitivamente nella nostra vita, e
lo stesso fanno le etichette, per cui se dico “nonna” penso subito a un’anziana che fa il
ragù e bada ai nipoti.
È una costruzione cognitiva, sociale ed è molto probabilmente la
ragione per la quale la signora rifiuta il ruolo, e dica “non mi ci ritrovo”. È comprensibile.
Certo, bisogna fare attenzione a non cadere nella trappola un po’ onnipotente di non avere
mai limiti, e quindi di rifiutare tutto il processo di invecchiamento che invece è naturale e
fisiologico. Se la nonna riluttante riuscisse a individuare ciò che la blocca e a verbalizzarlo,
parlandone con la figlia, il genero, la consuocera anche loro avrebbero modo di capire il
suo punto di vista senza giudicare il suo comportamento come poco disponibile o
disinteressato, ma comprendendo le sue ragioni. Affrontare l’argomento tutti insieme
potrebbe permettere di trovare un equilibro che rispetti un po’ i bisogni di tutti: la vita oggi è
molto cambiata, una donna a 58 anni ha ancora una vita molto piena, c’è chi lavora ed è
coinvolta a pieno ritmo nella società, e però tutto ciò cozza con l’immagine sociale che noi
abbiamo del nonno.
Aggiungiamoci il fatto che i nonni – in uno Stato che fa poco per le
famiglie, non ci sono sufficienti nidi e asili e mentre marito e moglie devono lavorare – sono
investiti di un altissimo grado di aspettative, e l’idea che una figlia o un figlio debbano
necessariamente dipendere da loro per crescere il loro bambino può farli sentire sotto
pressione ed essere fonte d’ansia».
Per padre Giovanni Calcara, domenicano del Convento San Domenico di Palermo, «Il
dono della vita va contestualizzato nella famiglia tutta: non sono solo i genitori ad
accoglierlo, ma anche i nonni. Però oggi con l’allungamento della vita media e migliori
condizioni di salute, è normale che i nonni non siano pronti… a fare i nonni. È perciò
necessario che già durante il periodo della gravidanza i figli si rendano conto
dell’atteggiamento dei futuri nonni e quindi su quanto potranno contare sulla loro
disponibilità, tenendo conto del fatto che hanno una vita attiva, professionale, sociale e
relazionare. È difficile che i nonni vogliano sottrarsi del tutto al loro ruolo, ma è giusto che
possano rivendicare la loro autonomia. È opportuno sondare il terreno, capire e rispettare
le esigenze di tutti: chiedere – banalmente – in quali giorni la nonna non va in palestra e,
viceversa, per la nonna rendersi disponibile a non andarci più alle 8 di mattina, per
esempio, potrebbe essere un compromesso accettabile. Un genitore non è insensibile,
però magari si tratterà di organizzarsi, di non scaricare a tempo pieno sui nonni il compito
di occuparsi dei bambini, ma, oltre a informarsi sulle possibilità di godere del congedo
parentale anche da parte del padre e dei diritti concessi dalla legge ai neo-genitori, magari
integrare il loro aiuto con quello di una babysitter o creare una rete di sostegno con altre
famiglie in cui, per esempio, ci si alterna nella cura dei bebè. Se la giovane famiglia non
può permettersi il costo di un aiuto esterno, l’aiuto dei nonni può essere anche economico:
l’importante è che non si dia tutto per scontato, pensare che tutto sia dovuto a
prescindere».
Mariateresa Truncellito
In “Maria con te” n. 11 del 17 marzo
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