3.Fatti del giorno

Termini Imerese: storie di carrettieri e di porte

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Oggi, opportunamente modificate, in tante vecchie case costituiscono l’entrata di un garage. Ma molte conservano ancora il loro originario aspetto di vetusti ingressi che, per la loro essenziale peculiarità, le portava ad essere popolarmente conosciute con il nome di “porti ri carrettu”. Erano resistenti porte di legno con due grosse ante, che si trovavano montate nei magazzini; ma anche in quasi tutte quelle case in cui abitava un possessore di carretto. Molti contadini e carrettieri infatti, disponendo di un basso spazioso, piuttosto che lasciarlo fuori, oltre al mulo preferivano entrare in casa anche il carretto.

Le due ante venivano aperte per intero solo mattina e sera ovvero quando il carretto doveva uscire o entrare; durante il resto del giorno infatti se ne teneva aperta solo una. In questa c’era poi quasi sempre la cosiddetta menzaporta; che era una agevole porticina a petto sulla quale affacciandosi ci si poteva appoggiare come ad un balcone.

In mancanza di ante a vetro a menzaporta consentiva alla luce, filtrata da una tenda, di poter comunque illuminare il vano. Tante di queste porte avevano nella parte bassa pure “u iattaloru”; si trattava in questo caso di un foro di adeguata misura, attraverso il quale il gatto di casa poteva liberamente passare senza chiedere permesso a nessuno. Quando le donne uscivano, restando però nelle vicinanze, magari solo per affacciarsi a punta ri cantunera, oppure per andare o cannolu a riempire a quartara, la porta non veniva chiusa completamente bensì solamente “abbutata” ovvero accostata.

Ma qualora la si voleva comunque chiudere, quasi mai lo si faceva con la chiave; che, per le sue eccessive dimensioni, costituiva già fastidio da portare appresso. In questo caso le porte erano dotate di un originale meccanismo che consentiva di aprirle anche dall’esterno e senza l’uso della chiave.

Si trattava di un “lazzu” e cioè di una funicella detta anche “u rumaneddu”, che pendeva da un apposito foro e che, una volta tirato, azionava un leva interna consentendo alla porta di aprirsi. Visto che mezza porta rimaneva chiusa per gran parte della giornata, e considerate le sue dimensioni, dall’interno se ne rinforzava la stabilità anche con l’utilizzo di un poderoso asse mobile di ferro, chiamato “a stanga”.

Elemento questo che nel tempo aveva generato pure l’uso di un particolare verbo siciliano, che è “attangàri” e che faceva intendere che la porta era ben serrata.

In tal senso era pure da spiegarsi un altro modo di dire usato da chi voleva esprimere il concetto di mettersi al sicuro; e che era: “Io un si e pi no mi mettu u ferru arreri a porta”! Ma i porti ri carrettu erano caratteristiche anche per la particolarità delle soglie. Esse erano fatte di lastre di pietra calcarea che, qualora si trovavano rialzate rispetto al piano strada, avevano due solchi posizionati ad apposita distanza che, come binari, consentivano alle ruote del carretto l’attraversamento senza nessun sobbalzo.

L’operazione infatti doveva essere il più possibile agevole; visto che quando si trattava di abitazione e non di magazzino, il carretto stesso dopo essere stato alleggerito del carico e liberato del mulo, veniva sempre spinto a mano verso l’interno. Laddove mancavano i solchi c’erano comunque e sempre, due ringrossi laterali con i bordi arrotondati; che ricordo qualcuno chiamava “i spadderi”; e servivano per evitare che il carretto, passando, non strisciasse il muro con i perni della ruota rovinando così gli stipiti. Al centro della soglia, e sempre in pietra, a far da sostegno c’era spesso pure il battiporta; strano a dirsi poi, ma la stragrande maggioranza di queste porte e nonostante la grande mole, non avevano maniglie esterne.

Per chiuderle venivano tirate con le stesse grandi chiavi o attraverso un anello metallico di “misere” dimensioni. Fin nei primi anni del novecento a Termini Imerese i carretti erano parecchio numerosi; ho addirittura ritrovato un vecchio elenco del 1934 della locale Federazione Nazionale Fascista Artigiani d’Italia, in cui è riportata la presenza nella nostra città di ben 143 barrocciai, ovvero carrettieri, ufficialmente tesserati.

 
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Redazione

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