Oggi il Maestro Guzzardo le eseguirà nella Chiesa SS.Annunziata di Caccamo con il Coro Pro Arte.
Al maestro Matteo Aglialoro, direttore del Corpo di Musica di Caccamo dal 1858 al 1916, viene attribuita la composizione “Per le Tre Ore d’Agonia”.
Si tratta di canti ispirati alle ultime “Sette Parole” di Gesù pronunciate sulla croce e che tradizionalmente vengono ancora eseguite durante le celebrazioni liturgiche del Venerdì Santo nella Chiesa Madre di Caccamo.
Tra il XVIII e il XIX secolo, le composizioni de “Le Sette Parole” erano molto diffuse.
La più celebre fu composta da Josef Haydin nel 1785,ma ebbe molta fortuna quella dell’italiano Saverio Mercadante. La versione del Maestro Matteo Aglialoro, scritta probabilmente dopo il 1892, anno in cui oltre alla banda fu istituita dal Comune di Caccamo anche un’orchestra, ha delle similitudine con entrambe le opere degli autori citati, ma molto marcate, in linea con il periodo, sono le influenze melodrammatiche che ricordano alcune celebri opere. Il testo de “Le Sette Parole, comune a quasi tutte le composizioni del periodo è attribuito al celebre librettista romano Pietro Mestastasio (al secolo Pietro Trapassi).
Dal libro” Il Complesso Bandistico Città di Caccamo – due secoli di storia di Mimmo Rizzo
TESTO DEI CANTI
INTRODUZIONE: (Per mezzo della croce, o Signore, liberaci dai nemici). Già trafitto in duro legno dall’indegno popol rio: la grand’alma, l’Uomo-Dio va sul Golgota a spirar.
Voi che a Lui fedeli siete non perdete, o Dio, i momenti: di Gesù gli ultimi accenti deh! Venite ad ascoltar.
PRIMA PAROLA: (Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno). Di mille colpe reo lo so, Signore, io sono, non merito perdono né più il potrei sperar.
Non senti quella voce che per me prega e poi lascia, Signor se puoi lascia di perdonar.
SECONDA PAROLA: (Oggi sarai con me in paradiso). Quando morte con l’orrido artiglio la mia vita a predare ne venga deh! Signor, ti sovvenga di me.
Tu mi assisti nel fiero periglio e deposta la squallida salma venga l’alma a regnare con te.
TERZA PAROLA: (Donna ecco tuo figlio. Figlio ecco tua madre). Volgi, deh, volgi a me il tuo ciglio! Madre pietosa, poiché amorosa, me, qual tuo figlio devi guardar. Di tanto onore degno mi rendi. Del santo amore il cor m’accendi. Né un solo istante, freddo incostante. Ah! mai non sia, Gesù e Maria io lasci d’amar.
QUARTA PAROLA: (Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato?). Dunque dal padre ancor abbandonato sei? Ridotto t’ha l’amor a questo, o buon Gesu?
Ed io coi falli miei, per misero gioire potrotti abbandonar? Non più, non più peccar, piuttosto, o Dio, morir: non più peccar, non più.
QUINTA PAROLA: (Ho sete). Qual giglio candido, allorché il Cielo nemico recagli il fresco amor, il capo languido sul verde stelo nel raggio fervido posa talor. Fra mille spasimi, tal pure esangue, di sete lagnasi il mio Signor. Ov’è quel barbaro che mentre Ei langue, il refrigerio di poche lacrime, gli neghi ancor?
SESTA PAROLA: (Tutto è compiuto). L’alta impresa è già compita: e Gesù con braccio forte negli abissi la ria morte vincitor precipitò.
Chi alle colpe ormai ritorna, della morte brama il regno, e di quella vita è indegno che Gesù ci ridonò.
SETTIMA PAROLA: (Padre nelle tue mani affido il mio spirito). Jesus, Jesus, autem emissa voce magna, exspiravit. Gesù, morì! Ricopresi di nero ammanto il cielo: i duri sassi spezzansi, si squarcia il sacro velo. E l’universo attonito compiange il suo Signore.
Gesù morì ma l’uomo in mezzo a tanto duolo più di macigno stupido resta insensibil solo, che coi suoi falli origine fu del comun dolor.
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