Riposte maschere e coriandoli del Carnevale, il Mercoledì delle Ceneri apre la Quaresima,
40 giorni di mortificazione del corpo e purificazione – come quelli trascorsi da Gesù nel
deserto dopo il battesimo – per prepararsi alla gioia della Risurrezione.
Tra i precetti, ci
sono l’astinenza e il digiuno: il primo stabilisce che non si mangino carne e derivati (fino a
non molti decenni fa, neanche latte, latticini e uova, oggi ammessi) nei giorni di magro, tutti
i venerdì dell’anno e a maggior ragione in questo tempo forte. Il pesce è ammesso –
purché non si tratti di specialità costose ed elaborate – , cosa che nei secoli ha fatto sì che
il venerdì sia divenuto, anche nei ristoranti e nelle mense, il giorno in cui il menù prevede
regolarmente pesce. Il Mercoledì delle Ceneri è giorno di digiuno: ci si dovrebbe limitare a
un solo pasto, che apre la regola del “carnem levare". Altri giorni di digiuno (stretto) sono il
Venerdì santo e (consigliato) il Sabato Santo.
Quando arriva questo periodo, capita che la cronaca riporti di polemiche per le scelte
effettuate nelle scuole, cattoliche e laiche, di applicare il Venerdì di magro anche al menù
di bambini e ragazzi. «Il menù che viene messo a punto nelle scuole è in accordo con le
norme stabilite dall’Ats della Regione Lombardia», premette Cristina Comi, insegnante
all’Istituto paritario Paolo Di Rosa di Desio (Monza e Brianza), con alunni che frequentano
le classi del ciclo primario e secondario. «Fatto salvo l’equilibrio nutrizionale stabilito dagli
esperti e la varietà dei pasti, è possibile stabilire che i piatti non a base di carne siano
spostati al venerdì. Ed è ciò che succede nella mensa della mia scuola: per tutto l’anno, e
a maggior ragione in Quaresima, in questo giorno della settimana la carne non è prevista
né come primo (quindi no ragù, ma minestre, orzo, passato di legumi…) né come secondo
(che può essere pizza, pesce, formaggio, uova sode, frittata…).
Il menù, che ruota su
quattro settimane, viene comunicato alle famiglie due volte all’anno, in settembre e in
aprile, differenziandolo in base alla stagione: quindi i genitori possono comunicarci in
anticipo se il bambino non può – per ragioni di salute, gusto, abitudini familiari o regole
religiose – mangiare determinati cibi, così da evitare sia che mangi poco, corra qualche
rischio, sia che l’alimento debba essere sprecato. Tenendo però conto del “giorno di
magro”: così se per esempio il bambino non mangia la platessa – un’avversione piuttosto
comune – l’alternativa saranno diversi tipi di formaggio, così che possa indicare la sua
preferenza». Con questa “organizzazione di base” i genitori non hanno alcuna obiezione
se in Quaresima il venerdì di magro è conclamato, «Le discussioni, semmai, si sono avute
invece a inizio anno, quando, per seguire i dettami dell’Ats, è stato messo a punto un
menù nutrizionalmente più sano – prevedendo zuppe, minestre, legumi, cereali alternativi
– e meno “tradizionalmente” per bambini, tipo con pastasciutta, patatine, bistecca – perché
i genitori temevano che i bambini mangiassero poco di fronte a preparazione alle quali non
sono abituati». Al di là di cosa succede a tavola, i bambini vengono preparati al significato
spirituale della Quaresima: «Dopo il Carnevale, ogni venerdì, terminata la pausa pranzo in
classe una mezz’ora viene dedicata a una serie di preghiere che accompagnano i bambini
nel cammino verso la Pasqua, con anche una messa in Basilica che coinvolge tutto
l’istituto. Non ci sono defezioni, nemmeno da parte dei bambini musulmani iscritti nella
nostra scuola, che è frequentata, grazie all’impegno della madre superiora che si è spesa
personalmente andando a incontrare le famiglie, anche da ragazze pakistane che
seguono corsi di formazione professionale».
Padre Giovanni Calcara, domenicano del convento San Domenico di Palermo, sottolinea:
«Come succede in altre religioni, anche il cristianesimo ha alcuni pilastri nel cammino di
fede: la preghiera, il digiuno e l’elemosina, che coinvolgono i credente sia nell’ambito
personale che dei rapporti sociali. Il digiuno non è finalizzato a se stesso ma, oltre a
essere metafora dell’astensione innanzitutto dal peccato, insegna alla persona a privarsi di
qualcosa per pensare agli altri, in un’ottica di solidarietà e di condivisione con chi è più
sfortunato. I bambini quindi possono essere legittimamente coinvolti nella pratica come
riflessione sull’importanza di non sprecare e per attuare il richiamo evangelico “Non di solo
pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”, che nutri la nostra anima
e la nostra speranza. Ciò aiuta anche a educare l’istinto e anche ad avere un rapporto
meno problematico col cibo, spesso consumato compulsivamente per compensare
mancanze psicologiche o, al contrario, evitato come dannoso per l’aspetto fisico e i canoni
estetici imposti dalla moda. Insomma: è importante che il digiuno e l’astinenza vengano
spiegati nel loro reale significato – e con i ragazzi di oggi, così sensibili alle tematiche della
tutela dell’ambiente e delle ingiustizie non è così difficile – e non come una tradizione
ormai vecchia che, come tale, è facile che non venga compresa e quindi non più
rispettata».
Mariateresa Truncellito
In “Maria con te” n. 6 11 febbraio
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