In tempi di crisi economica, non è un’eventualità rara perdere il lavoro perché un’azienda
si traferisce all’estero o chiude. Se il marito ha un’attività in proprio e la moglie desidera
continuare a lavorare, la soluzione può essere andare a farlo con lui.
Essere una coppia anche “di ditta” presenta innegabili vantaggi, non solo economici e pratici: per esempio sul piano della fiducia e della sintonia. Ma c’è sempre l’altra faccia della medaglia: avere come capo il proprio marito è una buona idea? Sia per l’interessata, che per colleghi, che
potrebbero essere disorientati nel relazionarsi con lei. E, magari, suscita perplessità anche
la prospettiva di passare 24 ore su 24 insieme: ammesso di non litigare per “eccesso di
confidenza”, a casa, cosa avranno ancora da dirsi?
«Effettivamente è una situazione molto
comune in Italia, e che ha pro e contro», conferma Benedetta Comazzi, psicologa a
Milano. «Premesso che molto dipende anche dal tipo di coppia – più o meno simbiotica –
e dal carattere di ciascuno, la condivisione del lavoro permette di trascorrere più tempo
insieme, rispetto a quanto accade per molti che si vedono solo fugacemente al mattino, in
tarda serata e nei weekend; e anche di vedere nuovi aspetti del coniuge, accrescendo la
stima reciproca. Lavorare insieme può creare una cooperazione che va ad alimentare la
relazione».
Ma è anche una situazione rischiosa: «Innanzitutto perché somma due ambiti della vita di
per sé molto complessi. E poi ci sono i contro più banali, come il ritrovarsi senza argomenti
(o con il bisogno di fare silenzio…) e il mischiare troppo privato e professionale. Di solito si
parte col proposito di tenere separati i due ambiti, ma è un po’ utopistico: se il marito in
ditta fa o dice qualcosa che ferisce o fa arrabbiare la moglie, è difficile che lei, a casa,
spenga l’interruttore della rabbia e si tramuti in una casalinga serena e soddisfatta».
In ogni caso, è fondamentale, prima di decidere di unire le forze sul lavoro, «La
consapevolezza di cosa comporti: se si desidera mantenere una certa indipendenza pur
lavorando alle dipendenze del marito, bisogna premetterlo e cercare dei margini. Con i
colleghi, per evitare imbarazzi o sospetti di favoritismi su mansioni, ferie, orari è bene
parlare in modo limpido con tutte le parti in gioco e chiarire compiti e ruoli.
In generale, la
coppia dovrebbe a priori stabilire regole per gestire probabili difficoltà: ciò fa sì che la
nuova situazione venga affrontata come una “sfida di coppia”, senza lasciala solo a uno
dei due coniugi (per lo più l’ultima arrivata che si deve adattare alle regole dell’ufficio,
laboratorio, negozio…). Occorre chiedersi: che tipo di coppia coniugale siamo? Che tipo di
coppia lavorativa vogliamo essere? Come facciamo a raggiungere l’obiettivo? Il tutto
comunicando molto, l’aspetto più importante perché la relazione “di ditta” possa
funzionare. Fondamentale anche coltivare il più possibile la coppia facendo attività
piacevoli e divertenti che vadano oltre la dimensione del lavoro: se ciò è importante in
qualsiasi coppia, lo è ancora di più per chi condivide l’ambito professionale. Senza
trascurare anche la necessità di ritagliarsi momenti individuali per coltivare la propria
soggettività e non vivere tutto in simbiosi».
Per padre Giovanni Calcara, domenicano del Convento San Domenico di Palermo, «La
donna anche in campo lavorativo purtroppo molto spesso non è rispettata per il suo valore
e subordinata a ruoli maschili. E questa differenza si evidenza ancora di più quando, per
vari motivi, perde il lavoro e fatica a ricollocarsi.
Se la coppia funziona, lavorare insieme –
purché sia una libera scelta, non eccessivamente condizionata da uno stato di bisogno
che potrebbe creare frustrazione – può essere un vantaggio, perché, se ci si può alternare
in ufficio, permette di organizzare meglio anche la gestione della famiglia, il tempo da
dedicare ai figli e le esigenze dei coniugi, che siano relative alla casa o a tempo libero.
L’aspetto negativo si evidenzia se la donna non è a suo agio perché deve accettare un
ruolo professionale subalterno al marito e non è ciò che vorrebbe. Si potrebbero creare
anche dissidi e confusione con i dipendenti: quando parla lei, lo fa in veste di collega o di
moglie del capo? Lo stesso marito si potrebbe trovare in difficoltà nel barcamenarsi nelle
proprie scelte se la moglie non è d’accordo. Molto però dipende però dall’intesa,
dall’affiatamento e dalla maturità della coppia, e anche dall’età dei coniugi, perché se già a
casa ci sono problemi con i figli o nella divisione delle incombenze domestiche, l’aggiunta
delle difficoltà lavorative potrebbe creare una miscela esplosiva: prima di vedere la “coppia
di ditta” come una soluzione facile al problema della perdita del posto di lavoro è
opportuna una riflessione attenta sulle possibili conseguenze».
Mariateresa Truncellito
In “Maria con te” n. 4 del 28 gennaio
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