Contenuto e foto di Giuseppe Ambra
I protagonisti di questa impresa furono una famiglia di pescatori termitani, i figli Antonino e Michele ed il padre Settimo Russo.
Alla fine degli anni ’80, i due fratelli salparono dal porto di Termini Imerese, intorno alle 17:30 circa, sulla motobarca “Azzurra” alla volta delle isole Eolie, per affrontare la loro quotidiana battuta di pesca.
A circa 20 miglia dall’isola di Alicudi, gettarono in mare la “spadara”, termine usato dalla gente di mare per indicare la rete con la quale venivano catturati i pesci spada (questa tecnica è praticata in tutto il Mediterraneo) e rimasero ad aspettare, fino alle prime luci dell’alba del giorno successivo, nella speranza che tra le maglie della stessa fossero rimasti imprigionati eventuali pesci.
Mentre iniziarono le operazioni di recupero della rete, si accorsero che dal fondo dell’acqua stava salendo in superficie un grosso pesce, che era rimasto impigliato tra le maglie della lunga spadara.
Impiegarono più di un’ora per sfiancarlo e successivamente issarlo a bordo.
Tuttavia, non ebbero nemmeno il tempo di gioire e lasciarsi andare dall’emozione per aver pescato un pesce da record, cosa che non erano mai riusciti a fare nel corso della loro lunga esperienza di pescatori, che dovettero ben presto fare i conti con la realtà.
Invero, il pesce, per la sua lunghezza di circa 8 metri ed il suo peso di 3500 chilogrammi, non poteva essere contenuto sulla imbarcazione.
Gli stessi, dunque, furono costretti ad aggangiarlo per la coda e a trainarlo con la parte del corpo che rimase in acqua.
Molto lentamente la motobarca riuscì comunque ad attraccare, con il suo pesante carico, alla banchina antistante la Capitaneria di Porto, dove ad attendere Nino e Michele c’erano parecchi familiari, una moltidudine di curiosi muniti di macchine fotografiche ed il personale della Capitaneria di Porto preventivamente allertato.
Si rese necessario l’intervento di un gruista, lì presente, a manovrare una gigantesca gru per issare e scendere a terra l’enorme esemplare. Durante la fase di sgancio, però, la grande coda, per l’eccessivo peso, si staccò dal corpo, facendolo rotolare a terra.
Constatato dal personale della Capitaneria di Porto che il pesce non era commestibile, trattandosi di uno “Squalo Elefante”, vennero stilate le pratiche inerenti la sua distruzione.
Per il suo trasporto fu utilizzato un autocarro, il quale, in prossimità della prima curva della serpentina, a causa dell’eccessivo peso, perse il controllo, così facendo finire il suo carico in mezzo alla strada.
Il traffico rimase paralizzato per più di un’ora, fino a quando, grazie ad una pala meccanica, il pesce fu riposto nuovamente sull’autocarro e trasportato alla discarica di Santa Marina, dove venne prima bruciato e successivamente seppellito.
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