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Da adulti si tende a sentire meno l’incanto della Natività. Ecco come ritrovarlo, evitando che i momenti assieme ai propri cari diventino un peso o, addirittura, una costrizione
A Natale è d’obbligo il “con i tuoi”. È la festa della famiglia: tutti celebrano la nascita di un Bambino e i credenti la venuta del Salvatore. E in ogni casa, dove si ritrovano genitori, fratelli, figli, nipoti, cugini e amici si ricrea di fatto quello che il presepe rappresenta, con tante persone che si stringono attorno alla Sacra famiglia. Anche chi è lontano fatica a sottrarsi al diktat/desiderio di tornare “almeno una volta all’anno” dai parenti. Ma oggi c’è anche chi vive male i “doveri inderogabili”: la distanza e i costi sempre più esorbitanti di treni, aerei e hotel, la stanchezza che fa sentire il bisogno di relax e tranquillità più che di numeroso parentado, il fatto che finalmente i coniugi hanno ferie che coincidono possono stare insieme con i bambini… Come a conciliare i propri bisogni con la necessità di non ferire le persone care e il rispetto delle tradizioni?
«Natale per i cristiani è una celebrazione e un festa religiosa, ma più in generale si è trasformato in un evento governato da diktat socio-culturali», puntualizza Benedetta Comazzi, psicologa a Milano.
«Ha una dimensione idealizzata che spesso si scontra con quella reale. Nell’immaginario collettivo si associa alla famiglia felice di ritrovarsi per trascorrere belle ore in armonia, ma ciò non sempre corrisponde a ciò che succede: capita che la riunione di famiglia venga vista come una rottura di scatole di cui si farebbe a meno e paradossalmente succede di sentirsi molto soli proprio a tavola con persone con cui si hanno legami di sangue, ma con le quali non si condividono opinioni e valori». In questi casi, potrebbe essere più opportuno festeggiare con serenità in altro modo.
«Il “magico Natale”, idilliaco, gioioso, appartiene a una visione che ci portiamo dietro dall’infanzia. Crescendo prendiamo atto che nelle festività, magari solo per far contenti i genitori anziani, dobbiamo rassegnarci a condividere il cenone con la cugina che parla sempre male di noi o col cognato un po’ razzista. Magari anche affrontando tour de force in cucina, sobbarcandoci inviti e l’organizzazione del pranzo perché i nonni non sono più in grado. Una fatica improba, da conciliare con i ritmi lavorativi che spesso prima della chiusura per festività diventano ancora più pesanti e serrati». Se lo stato d’animo deve essere il contrario del “a Natale siamo tutti più buoni”, come ironicamente si dice ma come un credente dovrebbe seriamente predisporsi a celebrare l’arrivo del Salvatore, è meglio trascorrere le feste in maniera “alternativa” rispetto alla tradizione, dando spazio alle necessità proprie e della propria famiglia.
«Per non guastare i rapporti, si può trovare un compromesso, come festeggiare insieme la vigilia o il giorno di Natale e quindi partire per una settimana di vacanza o, viceversa, ritrovarsi a per San Silvestro o per l’Epifania».
La dimensione “ideale” del Natale fa sì che per alcune persone sia, invece che gioia, un momento di grande malinconia, magari perché rinfocola ricordi e la nostalgia di chi non c’è più.
«In altri genera uno stato di ansia da performance: “Devo fare un pranzo indimenticabile, bei regali, ospitare tutti…” con un sovraccarico di stress. Un modo per prendersi cura di sé senza “fuggire dal Natale” può essere ridefinirlo: se le feste sono un momento per fare qualcosa che ci piace e ci fa stare bene – e magari renderci anche migliori, “più buoni” – allora è accettabile anche staccare e andare in crociera, senza sentirsi “traditori” verso la famiglia e senza sensi di colpa che sono l’altra faccia della rabbia dovuta al dover sottostare a rituali che magari sono lontanissimi dallo spirito fraterno del Natale. Se si desidera davvero passare del tempo di qualità con la nonna che non si vede mai, non è necessario aspettare le feste natalizie: anzi, meglio dedicarle un momento che sia tutto per lei, magari il weekend prima del 25 dicembre».
È d’accordo padre Giovanni Calcara, domenicano del Convento San Domenico di Palermo: «Quanto è bello e gioioso che i fratelli vivano insieme. Ma oggi gli affetti si estendono a relazioni che vanno oltre i parenti – conoscenti, amici, gruppi di volontariato, colleghi, vicini – anche perché spesso la famiglia è sparpagliata per il mondo.
Ma la domanda è: possiamo ricordarci della famiglia solo una volta all’anno? Se i rapporti si vivono a 360 gradi, saremo anche comprensivi se qualcuno non è disponibile per il cenone della Vigilia. Altrimenti si cade nell’ipocrisia di pretendere per forza che ci si ritrovi “per forza” quando magari per tutto l’anno non ci si è mai cercati. La condivisione delle feste deve essere un prolungamento della vita reale nelle famiglie. Certo, per evitare che i bambini crescano senza conoscere le proprie radici è bene organizzare visite al di là del pranzo di Natale. È una questione più di convinzione che di calendario: essere convinti che la condivisione del pranzo del venticinque dicembre sia un ritrovarsi tra persone che si conoscono, si stimano, sanno fare conversazione in modo appropriato e senza ridursi alla retorica degli auguri. Non si deve pretendere la presenza dell’altro, ma creare il bisogno di sentirsi, di vedersi e non solo per rispettare la tradizione. Solo così sarà davvero Natale».
Mariateresa Truncellito
In “Maria con te” n. 50 del 10 dicembre
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