Le Petralie conservano le tradizioni locali
A Petralia Soprana continuano le tradizioni anche quest’anno di Santa Lucia con la preparazione degli occhietti e della Cuccia. Il nome, viene fatto derivare dal sostantivo “cocciu”, chicco, o dal verbo “cucciari”, cioè mangiare un chicco alla volta.
La Sicilia è sempre stata amante delle perpetuare le tradizioni antiche soprattutto a sfondo religioso. Alla santa, protettrice della vista, si dedicano ogni anno le più belle testimonianze di fede offrendo gesti di devozione e preghiere. Tutto comincia tra Palermo e Siracusa. Quest’ultima, la città di cui è nativa la santa. La tradizione alcuni la vorrebbero ambientata nel capoluogo durante la carestia del 1636, in periodo di dominazione spagnola; altri invece nella città che vide nascere la Santa nel III secolo d.C. L’annalista siracusano Giuseppe Capodieci racconta di un voto fatto dalla popolazione nel 1763: il cibo scarseggiava e durante l’omelia del 13 dicembre si invocò l’aiuto della patrona. Fu sufficiente aspettare l’indomani per vedere entrare in porto una nave carica di grano.
Per onorare l’evento provvidenziale, in Sicilia la regola è ferrea: “Santa Lucia, panelle e cuccia”, per ricordare di attenersi a grani e legumi, evitando cereali trasformati e rinunciando a pane e pasta. Non a caso, in tutta l’isola si parla altresì di arancine preparate oltre nei gusti tipici di carne o burro anche in altre altre varianti.
A Petralia Soprana, dopo la Santa Messa della Vigilia, c’è sempre un momento conviviale dove è preparata la cuccia per tutti i fedeli presenti. La tradizione vuole infatti, che dopo la benedizione del parroco, si consumi questo piatto insieme alla comunità. Stessa cosa avviene anche a Petralia Sottana assieme al rogo della tipica” vampa” dedicata alla santa nel ricordo del suo martirio. Oggi, giorno di Santa Lucia, nel Borgo più bello d’Italia, le tre Messe dedicate nella chiesa che ne porta il nome in periferia, con la distribuzione degli occhietti preparati o commissionati da chi ha fatto il voto o ha ricevuto una grazia. A Polizzi Generosa, anche oggi pomeriggio, vi è pure una sentita processione per venerare appositamente la santa. Un culto che in maniera analoga e anche solito di altri paesi.
Sulle Madonie preparano la cuccia in forma molto semplice , cuocendola per diverse ore a fuoco lento. Chi vuole può mangiarla senza aggiungere condimenti ma c’è chi la consuma con olio e sale, chi aggiunge dei legumi come ad esempio le lenticchie o i ceci o entrambi.
In città per lo più, invece, si tratta di un dolce al cucchiaio che si può preparare amalgamato a ricotta oppure a crema di latte o di cioccolato. In origine , la tradizione della cuccia nella sua preparazione, era con tutta probabilità sottoforma di un piatto salato: semplice grano bollito e arricchito di carni e verdure. Si fa ancora così, sempre in onore della Santa, nella Calabria cosentina con capra e maiale, come anche a Caltanissetta, dove si uniscono ceci lessati e olio novello. L’etimologia, inoltre, racconta come sempre qualcosa in più. Dal greco ta ko(u)kkìa — “i grani” — indicava una serie di pietanze con valore rituale, preparate spesso per commemorare i defunti oppure Demetra; la dea del grano, alla quale in epoca cristiana si è sovrapposta la venerazione proprio di Santa Lucia. Oltre alla particolare cuccia trapanese — che prevede anche ceci, fagioli e mosto cotto — la base di grano lessato diventa dessert con pochi altri ingredienti. Possiamo dire però che la versione “in bianco”, con ricotta di pecora, zucchero, gocce di cioccolato, cannella e zuccata, si attesta come la più diffusa di carattere prettamente siciliano. Quella più moderna è quella al cioccolato, con fondente e cacao al posto del latticino che piace ai più piccoli e ai più golosi. Poi chiaramente tutte le varianti rispecchiano i gusti di chi la prepara e non soltanto del luogo di provenienza. Importante infatti rimane il praticare anche oggi una tradizione molto antica, e in campo gastronomico la Sicilia, è davvero molto rispettosa.
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