La scuola è cominciata solo da qualche settimana, ma a casa di Matteo e Cristina sono già cominciate le preoccupazioni. Giacomo, sempre diligente e contento durante la primaria, sta patendo il “salto” in prima media: lo disturba la precarietà dei professori e il fatto che siano così numerosi rispetto alle maestre, non ha ancora legato con i nuovi compagni, gli pesa anticipare la sveglia e ha da ridire perfino sull’edificio scolastico “troppo antico”. Sembra quasi voglia tornare alle elementari… Quando parla è solo per lamentarsi, ma la maggior parte del tempo la passa chiuso in camera, tra rabbia e playstation. I genitori sono in ansia: temono che il disagio si traduca poi in scarso rendimento, atteggiamenti oppositivi verso gli insegnanti o isolamento. «Questo è il passaggio più difficile dell’intero ciclo scolastico», conferma Benedetta Comazzi, psicologa a Milano. «Dal punto di vista degli stimoli, perché si riprendono materie e argomenti già affrontati negli anni precedenti e le novità non sono tantissime. Ma soprattutto per l’età in cui viene affrontato: il bambino non è più bambino, ma non è ancora ragazzo. Non è né carne né pesce, ma gli viene chiesto di spostarsi senza soluzione di continuità dalla dipendenza all’autonomia: magari va a scuola da solo, deve approcciarsi allo studio in modo diverso, confrontarsi con più insegnanti con differenti metodi e personalità, verso un approccio personale e individuale alla vita. È perciò normale che il bambino manifesti, a volte apertamente, il desiderio di tornare alle elementari. O che – anche questo succede spesso – abbia reazioni regressive, tipo manifesti il desiderio di dormire nel lettone dei genitori o faccia richieste e capricci non in linea con l’età ma che richiamano un mondo più infantile. La crescita è un processo fisiologico, ma in questo momento capita che al bambino venga chiesto di fare un passo più lungo della gamba e non tutti sono già adeguatamente attrezzati».
Da parte dei genitori è importante non andare in allarme: «Se io, bambino, vedo che il mio punto di riferimento, e cioè mamma e papà sono in ansia più di me, mi confermano il fatto che sono in una situazione di pericolo. Ecco perché è importante mantenere la calma, “normalizzare” al figlio queste sensazioni e aiutarlo a verbalizzarle, a esprimerle con le sue parole, invece che chiudersi nel mutismo. Magari raccontiamogli come avevamo vissuto noi il passaggio dalle elementari alle medie, il fatto che ci sentivamo un po’ spaesati e smarriti anche noi. Magari non funziona subito, ma piano piano il bambino riuscirà a immedesimarsi, a capire che anche l’altro – in questo caso il genitore – ha vissuto una situazione come la sua e che è normale sentirsi così. Sarà un po’ faticoso abituarsi a un nuovo stile di vita, ad alzarsi prima e trascorrere più ore sui libri, ma ci riuscirà. L’importante è non sostituirsi al bambino: gli viene chiesto di diventare più autonomo e quindi non possiamo essere noi a fare amicizie al suo posto o accompagnarlo al mattino in classe per incontrare tutti i giorni il professore o avere altri atteggiamenti “invadenti” nella sua routine da studente. Deve imparare a misurarsi con la nuova realtà, a subire anche qualche delusione, sapendo che comunque ha un luogo sicuro in cui tornare e cioè la sua famiglia, che perciò deve essere tranquilla, stabile. La rabbia è un’emozione che in questa fase della vita comincia ad arrivare in modo preponderante: la soluzione migliore è spingere il ragazzino a scegliere uno sport, perché l’attività fisica aiuta tantissimo scaricarla. Se il bambino già faceva sport, sarebbe bene che andasse avanti, perché questo gli darebbe una dimensione di continuità che nella scuola è venuta a mancare».
Anche per padre Giovanni Calcara, domenicano del convento San Domenico di Palermo, «I passaggi scolastici non sempre corrispondono alle tappe di crescita e di maturità di bambini e ragazzi. Che, purtroppo, a volte non sono nemmeno preparati a ciò che li aspetta né dagli insegnanti né dai famigliari. Per noi il salto fuori dalle elementari – che per qualcuno coincideva con l’inizio del liceo – rappresentava un passaggio culturale, di mentalità, anche legato a nuove responsabilità. Da sempre si impara a nuotare quando ci si allontana dalla riva.
Oggi il prolungarsi dell’infanzia in senso “protettivo” non sempre mette i ragazzini in condizione di rispondere a questi passaggi in maniera consona, nel senso di comprendere che sono naturali, dovuti e necessari per crescere. Le novità sono un rischio, rispetto all’”usato sicuro” dei vecchi compagni, insegnanti, edificio scolastico, orari: ma il tutto costituisce un insieme di fattori di crescita e ogni ragazzo ha tutte le potenzialità per riuscirci e acquisire nuove conoscenze e abilità. Il genitore può favorire questo processo rendendosi disponibile ad accompagnare il ragazzo dai nuovi amici e non solo a scuola, magari alternandosi con gli altri adulti: è anche un ulteriore modo per “entrare in contatto” con i figli, capire la natura del loro malessere, se è passeggero, caratteriale o c’è altro».
Mariateresa Truncellito
In “Maria con te”, n. 41, 8 ottobre
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