Il 25 novembre non fate solo cortei ma state a parlare con i vostri figli

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Il 25 novembre non scendete solo nelle piazze. Non fate semplici cortei, non date simbologie, non inventatene altre.  Ma analizzate voi stessi, cambiate modi di vedere. Su queste panchine sedetevi. Pensate se siete giusti. La solidarietà parte dalle istituzioni. La scuola può formare fino a un certo punto. Ma la civiltà e l’educazione partono da casa.

Prendete i vostri figli maschi e parlategli di rispetto. Spiegate davvero dalle basi semplici, elementare e pratiche che sottolineano più caratteri che ogni persona soffre come puoi soffrire tu.

 Che vuole essere rispettata come lo vuoi tu.

Siate ripetitivi con i vostri figli sul concetto di uguaglianza, che non c’è inferiorità di genere. Che non si tocca nessuno. Batteteci di questo argomento, fino allo sfinimento, fino a diventare anche noiosi ed assordanti.  Non state a dire ai vostri ragazzi o ragazze che un uomo può e una donna non può in determinate circostanze. Perché possono entrambi allo stesso modo e maniera.

Ma assicuratevi che ciò sia davvero ben chiaro e assodato, che nella loro psiche non ci sia alcun cenno ad episodi di possibile violenza anche futura. Impegnatevi a trovare tempo, a dialogare, a fare parlare i vostri figli, argomentando ogni tematica di rispetto. Non pensate che il vostro figlio alcune cose non le farà mai, che è impensabile. Perché possibilmente lo pensavano anche i genitori di quei figli che invece, sono stati carnefici. Fate tutto il possibile. Fatelo sempre. Esaminate tutto senza tralasciare niente. Ricordate più volte che non si è più bravi o migliori di nessuno.

 Che anche gli altri hanno il loro pensiero, che sanno essere intelligenti come 

noi e non si è davvero nessuno per sentirsi migliori o superiori. Che non si può giocare con una vita. 

Che non si schiaccia un’esistenza, una personalità.

 

 Che non si sottomette nessuno alla propria volontà e piacimento Che tutti hanno un vissuto e chi si fida di noi non va deluso. 

Non va calpestato. 

Ricordate il valore di una persona.

 Ricordate l’importanza di ogni esistenza.

Che ognuno ha i propri diritti, che non li abbiamo solo noi 

e che tutti abbiamo il dovere di saper proteggere l’altro.

Alle donne, dare carezze.

Date amore. Date rispetto.

Non date silenzi oppure grida violente.

 Date parole rassicuranti.  Date parole di stima. Date parole di comprensione. Di amore.

 Sappiatele  ascoltare. Usate le mani solo per tenerle strette a voi in un abbraccio,  liberate ogni orgoglio e date conforto.  

Non togliete vita ma fate il vostro meglio dando la vostra vita.

Ricordate alle vostre figlie femmine di non stare in silenzio. Di non subire, di non avere paura. Di proteggere la loro dignità. Che il loro esistere è più prezioso di qualsiasi cosa.  Che l’amore accresce, non limita.

Elena Cecchettin , sorella di Giulia, uccisa dal fidanzato Filippo Turretta, la sera dell’11 novembre, in provincia di Pordenone, fa un appello a tutte le donne e spiega il concetto di mostro con lucidità e maturità critica:

Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è. I «mostri» non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro. La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcallingOgni uomo viene privilegiato da questa cultura

 
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