Lo stesso, quotidianamente, era solito aggirarsi per i vicoli della parte bassa della città, munito di una borsa a tracolla, contenente i vari arnesi da lavoro, che indossava in maniera incrociata, cioè in modo tale che la stessa poggiasse sul fianco opposto a quello della spalla in cui veniva messa la tracolla.
Nanà prestava il suo servizio a domicilio, facendo della strada la sua bottega.
Caratteristica era la sua abbanniata: egli infatti gridava ripetutamente “sono libero”, così da attirare l’attenzione soprattutto delle mamme, informandole che era disponibile ad effettuare, ai loro figli, un eventuale taglio di capelli, proprio lì sul posto.
Il suo lavoro a domicilio, da un lato, lo poteva esporre alle eventuali dirette lamentele dei suoi clienti, dall’altro lato, gli consentiva di raccogliere dai medesimi tante informazioni e indiscrezioni, dietro la promessa di non riferirle ad anima viva. Promessa che, tuttavia, quasi mai veniva mantenuta, tant’è vero che, quando si voleva sapere tutto su una determinata persona, si era soliti dire: “contatta Nanà e conoscerai la sua vita”.
Prima di iniziare il lavoro, Nanà chiedeva ai genitori dei piccoli come desideravano fossero tagliati i capelli.
A” Cozzu Tunnu”, cioè rasati a zero, era la richiesta della maggior parte delle persone, il cui intento era quello di evitare, ai propri figli, un probabile contagio di pidocchi; altro taglio richiesto era quello “a Tedesca”, ossia corti dietro e più lunghi davanti; o ancora “all’Umberta”, quando si volevano i capelli tutti disposti in alto.
Ai più grandi, invece, praticava “na scuzzata”, una accorciata, o un taglio a “sfumari”, ovverosia rasati con sfumatura alta sulla nuca e “lassati cchiu’ longhi davanti”.
Dopo aver pattuito il suo onorario, Nanà faceva sedere il cliente su una sedia (che quasi sempre era posta davanti l’uscio di casa), gli stringeva attorno al collo un “cantusciu”, ossia una mantella, che serviva da protezione, ed iniziava il suo lavoro facendo uso “ra forbici e du pettini”.
Per fare la sfumatura adoperava la macchinetta taglia capelli regolabile, invece per sfoltire la chioma “a forbici a denti”.
Per il taglio di capelli a “cozzu tunnu”, si avvaleva prima della macchinetta taglia capelli e, successivamente, con un pennello, insaponava la testa, per poi rasarla. Lascio immaginare ai lettori il pianto e l’espressione sul volto di quei piccoli malcapitati ai quali veniva riservato un simile trattamento, che rappresentava oggetto di scherno da parte dei loro coetanei.
Per pulire “u rasolu” (il rasoio), Nanà faceva uso di piccoli rettangoli di carta di giornale, oppure delle schedine della Sisal non più utilizzabili per le giocate della settimana in corso.
Terminato il lavoro, spruzzava sul cliente “u borotaccu” (borotalco o cipria), per eliminare i peli superflui.
Oltre ad essere “u varberi ri poveri” (il barbiere dei poveri), Nanà non disdegnava di esibirsi cantando o recitando durante le manifestazioni di piazza, sovente in coppia con un altro indimenticabile personaggio termitano, ossia Francesca Agnello, nota come “Ciccia pazza”.
La sua simpatia e comicità era tale da renderlo spesso protagonista delle varie serate organizzate dai circoli culturali cittadini, nonché dal famoso C.U.T.I. (circolo universitario).
Nanà è stato anche diverse volte ospite di Radio Termini Imerese, una radio locale con sede in via Iannelli.
Una volta, nel corso dell’intervista condotta da Franco Tirrito (il quale fu uno dei presentatori così come Totò Lapi, Carlo Aguglia, Totò Scanio), durante la trasmissione “Notturno Semiserio”, alla domanda: quale canzone canterai al pubblico da casa questa sera?, Nanà rispose: “Signurina un mi spardassi a marinara”.
Pronta fu la risposta del conduttore: “Avi 40 anni ca canti sempre a stissa canzuni”
“Ma si vonnu chista”, ribattè Nanà.
Di questo brano ricordo delle strofe che così facevano:
“A eri sira sutta l’autobussu
‘Na signurina vistuta ri russu
Rarreri a li me spaddi si stricava
E marrattigghiava ri ca ‘ e ri da’.
Signurina un mi spardassi a marinara
Perché, perché,
Nun lu viri ca cu stu cauru si squara,
Perché, perché,
Io mi sentu spini spini,
M’arrivugghiuni li vini,
Ma lu cori fa da cussi,
Signurina un mi spardassi a marinara,
Perché, perché”.
Nanà era, inoltre, solito accompagnare al canto piccoli passi di ballo, così da unire comicità gestuale, canora e mimica. Egli, invero, era ben consapevole del fatto che ciò gli avrebbe consentito di intrattenere e far ridere maggiormente il pubblico.
La sua vita è stata, dunque, sempre divisa tra queste due grandi passioni: il canto ed il lavoro di barbiere.
Possiamo senza ombra di dubbio considerare Nanà l’ultimo discendente di una categoria di lavoratori, ossia quella di barbiere ambulante, ormai in via di estinzione.
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