Sarà la voglia di sentirsi utili, oppure la mancanza di percezione dei rischi, fatto sta che a volte intraprendono attività che li mettono seriamente in pericolo.
Adele ha aperto la porta del salotto di sua madre e per poco non le veniva un colpo: Agnese, 93 anni a novembre, si stava inerpicando sulla scala e armeggiava davanti alla finestra.
«Volevo lavare i vetri», si è poi giustificata con la figlia che le chiedeva cosa le fosse saltato in testa per fare un’azione tanto pericolosa, per di più mentre era sola in casa. Paolo invece ha uno zio che, più o meno alla stessa età, vorrebbe rinnovare della patente per gironzolare ancora per il quartiere col suo furgone: ma come dirgli senza offenderlo che, per la sicurezza sua e altrui, è meglio se lascia perdere? C’è chi non molla la bicicletta, chi dà ancora la cera ai pavimenti – con il rischio di scivolare nel luogo in teoria più sicuro – chi solleva pesi esagerati per ossa sempre più fragili. Perché spesso gli anziani adottano comportamenti rischiosi per la loro salute? Si direbbe, addirittura, che tornino sprezzanti del pericolo come bambini…
Spiega Benedetta Comazzi, psicologa a Milano: «L’invecchiamento è una fase della vita caratterizzata in senso lato e metaforico dalla perdita di ruoli. E quindi dalla necessità di elaborare dei “lutti”: via via non si è più lavoratori, non si è più madri o padri accudenti, in caso di vedovanza non si è più mariti o mogli e quando i nipoti sono cresciuti non si è più nemmeno nonni. La perdita della prestanza fisica è l’ennesimo lutto».
Ciò premesso, bisognerebbe quindi trovare un modo per “mettere in sicurezza” il nonno o la nonna senza mortificarlo ulteriormente facendolo sentire menomato o inutile. Continua l’esperta: «In un certo senso è vero che tornano spericolati come bambini e quindi l’approccio deve essere lo stesso: basato sul compromesso.
Come quando si vuole insegnare o ottenere qualcosa da un bambino, spiegargli che un certo comportamento è pericoloso o che prima di attraversare la strada deve guardare a destra e a sinistra. Potrebbe essere utile lasciare che l’anziano faccia ciò che desidera ma senza rischi: per esempio, staccare le tende, ma quando ci siamo anche noi per dare una mano se qualcosa non va o anche solo per “tenere ferma la scala”».
Oltre all’orgoglio, in molti casi viene però meno soprattutto la componente cognitiva e ciò contribuisce a ridurre la percezionedel rischio: «È normale che il figlio riprenda il genitore anziano dicendogli “Ma insomma, basta, tu mi vuoi far preoccupare, non farlo” come se ci fosse una intenzionalità, la scelta deliberata di causare preoccupazione. In realtà spesso o manca la componente cognitiva che fa percepire la gravità della situazione a cui ci si sta esponendo oppure c’è la paura di perdere la propria autonomia e quindi la si esercita a prescindere.
E allora bisogna permettere all’anziano di sentirsi ancora capace di fare ciò che faceva in scioltezza fino a qualche tempo prima o dotarlo di attrezzi ad hoc, come un bastone che gli permetta di sganciare la tenda senza dover salire sulla scala oppure offrirsi di aiutarlo per i compiti più difficoltosi, come “stacco io le tende, mentre tu nel frattempo pulisci il termosifone che sta dietro”.
Altra possibilità, se l’anziano coltiva un hobby, come giocare a carte o passare del tempo in parrocchia, invece di sottolineare il pericolo e la sua inadeguatezza fisica, «Lo si può incoraggiare a uscire e incontrare gli amici mentre pensiamo noi alle tende o chiediamo alla nostra domestica di occuparsene, così quando torna a casa le potrà lavare ma nel frattempo ha trascorso qualche ora più allegra».
È bene anche tenere conto della sua personalità: «Se la nonna è sempre stata “un’autorità”, si può lasciarle il compito di “dirigere i lavori”, spiegando alla badante – per esempio – come staccare le tende, come metterle in lavatrice o se portarle in lavanderia, e così via, preservandole una sensazione di controllo e di potere», conclude Benedetta Comazzi.
Per padre Giovanni Calcara, domenicano del Convento San Domenico di Palermo, «Se per la Bibbia la longevità è saggezza, oggi spesso si associa a autonomia, dignità e serenità, condizioni inimmaginabili fino a pochi decenni fa. Il rischio però è ciò non permetta agli anziani di percepire i loro limiti, anche a causa di una certa narrazione dei media che mostrano servizi su persone che in età assai avanzata corrono la maratona o si rendono protagonisti di imprese spericolate senza sottolineare a sufficienza che sono eccezioni alla regola.
È importante che i figli aiutino i loro genitori anziani a capire che se si si offre aiuto non è perché li si ritenga incapaci, ma per prudenza, per evitare incidenti che possono più facilmente causare immobilità e perdita di autonomia che ricadrebbero sull’interessato ma anche sui familiari. È un richiamo alla responsabilità. D’altra parte, è anche la società – e quindi le associazioni, i gruppi della parrocchia – che dovrebbero fare la loro parte, perché ciò che porta gli anziani anche a compiere azioni dissennate è la solitudine, la paura di “disturbare” i figli molto affaccendati, il non sentirsi utili.
Di più quando hanno già dovuto rassegnarsi all’aiuto di una badante che magari fa tutto mentre loro sono obbligati a stare seduti sul divano. Sarebbe bello che potessero fare piccole attività di volontariato, per esempio rispondere al telefono della parrocchia, così da continuare a essere integrati nel gruppo anche quando non sono più in grado di fare animazione sportiva all’oratorio o pulire la chiesa.
Accettare i propri limiti non è mai stato facile, oggi ancora di più e gli anziani potrebbero essere un punto di riferimento e valorizzati, sempre in riferimento alla loro età, ma cercando di non fargliela pesare».
Mariateresa Truncellito
In “Maria con te” n. 40, 1 ottobre
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