Patrizia ha un ruolo importante nell’ufficio marketing della sua azienda, dove coordina una
squadra di colleghi. Ce n’è uno con il quale è particolarmente affiatata, Mario, perché
spesso realizzano progetti insieme. Lei ne parla con tranquillità a casa, raccontando al
marito Giuseppe e ai figli i loro successi e le difficoltà con i dirigenti o clienti. Ma Giuseppe
è un po’ geloso. Teme ci possa essere altro oltre alla stima e alla collaborazione
professionale. Anche perché, a volte, sua moglie e Mario fanno anche viaggi di lavoro
insieme. È vero che c’è anche il resto del team, però, insomma…
«C’è una grande differenza tra uomo e donna rispetto alla gestione del mondo emotivo»,
premette Benedetta Comazzi, psicologa a Milano. «Le donne sono più aiutate ad “averci a
che fare” e a scandagliare meglio la situazione. Hanno uno spirito di osservazione e di
analisi diversi rispetto agli uomini».
E forse sono anche più “rassegnate” a doversi fidare
se il marito va in giro per lavoro. «Obiettivamente per un uomo è più difficile da gestire,
proprio per gli strumenti emotivi di cui dispone. Prima di preoccuparsi, però, bisognerebbe
valutare se ci sono altri elementi a sostegno di questo timore: c’è una maggiore freddezza
nel rapporto matrimoniale? C’è un calo di rapporti intimi? C’è minore attenzione? C’è
maggiore irascibilità? La moglie vede il collega anche al di fuori del contesto del lavoro?
Sono tutti elementi che, in caso di risposta negativa, possono attutire le paure. È facile
cadere nella tentazione di “indagare” (nelle tasche, nel cellulare…) per scoprire se ci sono
cose che la moglie non dice, ma attenzione, perché si sconfina nel campo della
sospettosità e della mancanza di fiducia: meglio invece provare a parlarne, spiegandole le
proprie preoccupazioni. Al limite, cercare maggiore informazioni sul collega, manifestare il
desiderio di conoscerlo, capire chi è, perché magari ci si è fatti delle idee sbagliate su di lui
e magari conoscerlo ci permetterebbe di modificare le convinzioni errate su questa
persona».
Ci vuole molto tatto nel parlarne: «Attenzione a non far sentire la moglie sotto accusa: è
importante che lei capisca che ciò nasce da un proprio timore e non da una mancanza di
fiducia verso di lei. Altrimenti si sentirà attaccata e quindi attaccherà a sua volta,
mandando in fumo l’obiettivo e cioè ottenere rassicurazione. E poi attenzione a non
enfatizzare eccessivamente i fatti, per non creare nella moglie il timore di parlare del
collega e snaturare un atteggiamento di lei che magari è naturale, spontaneo e non ha
nulla di losco: instillarle l’idea che c'è qualcosa “di sporco” potrebbe indurla a irrigidirsi e a
non parlarne più». In ogni casso, il dialogo costruttivo e affettuoso resta la via migliore da
percorrere: «È facile mettere insieme due o tre elementi e costruire nella nostra testa “un
mondo”», spiega Benedetta Comazzi.
«Idee, aspettative, conclusioni: una realtà. È un
meccanismo evolutivo, per il quale il cervello funzionare al “risparmio di energie”, per cui
gli bastano pochi elementi per arrivare alle conclusioni e quindi alla ricerca di soluzioni,
poco sforzo e massima resa. Ma molte volte questo meccanismo ci porta a cadere in errori
cognitivi: magari il collega è felicemente sposato o comunque non si sognerebbe mai di
avere una storia con una collega, ma questi elementi passano in secondo piano e non
vengono presi in considerazione quando ci sono di mezzo i sentimenti».
Per padre Giovanni Calcara, domenicano del convento San Domenico di Palermo, «Il
matrimonio presuppone non soltanto l’attrazione, l’affiatamento, la simpatia ma implica
una comunione interiore tanto da poter dire con la Sacra Scrittura “I due saranno una
carne sola”. Che non significa annullare la personalità di ciascuno, anzi, ma completarsi
permettendo all’altro di essere se stesso. Se manca la fiducia, perché a volte prevale il
maschilismo, perché l’uomo sente di dover avere tutto in pugno, quindi anche i
comportamenti e i sentimenti della moglie (o viceversa, quando è la donna a essere
gelosa e possessiva). È bello che una moglie apra completamente se stesso all’altro
parlando anche del suo lavoro: non per vantarsene, ma per renderlo partecipe della sua
vita fuori casa. Anche questo è un fattore di crescita, altrimenti ci si relega nei ruolo di colei
che quando arriva deve cucinare, badare alla casa e ai figli e il resto è dietro la porta. La
gelosa proietta sugli altri le proprie paure: se la donna è sicura di se stessa, dei suoi
sentimenti e non ha paura di dire cosa fa e cosa sente anche nei confronti di un collega,
compreso che gli è simpatico, non significa che la cosa possa trascendere in altro. Il
problema del marito è la sua insicurezza, che lo porta a scaricare sugli altri le colpe: si
pretende che l'altro renda conto e ragione anche di quello che non dice o che fa, come se
lo avesse nascosto. Sarebbe auspicabile che nella comunione di vita che è il matrimonio ci
fosse la comunione totale, senza crepe dovute alle ferite esistenziali di ognuno: il che non
significa avere il dominio della coscienza dell’altro, ma mettere in comunione anche le
proprie esperienze».
Mariateresa Truncellito
In “Maria con te”, n. 39 del 24 settembre
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