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Era una sorta di triste filastrocca che pure io, ogni tanto, sentivo ripetere anche a mia madre e mia zia; ma della quale, essendo bambino, non riuscivo a cogliere il senso.
Il significato però, ben lo sapevano i nostri antenati; che, loro malgrado, avevano sperimentato sulla propria pelle, i tragici momenti dei bombardamenti americani su Termini Imerese.
Non so dirvi se fosse solo un modo di dire della nostra città, o se era presente anche in altre parti di Sicilia; ma qui a Termini Imerese, faceva pressappoco così:
“Apparecchiu miricanu, jetta bummi e si nni va; e ‘ntrà poviri cristiani lassa morti e lutti fà”
Questi aspetti di vita popolare, difficilmente entreranno a far parte del racconto della grande storia che viene riportata nei libri; ma sono tracce che ben ci lasciano immaginare la paura e il dolore, di chi aveva vissuto la catastrofe della guerra.
Ancora oggi, tanti anziani, ben ricordano pure quel “Termini a luttu e Palermu distruttu”; sempre riferito ai bombardamenti del 1943, che nella nostra città fecero quasi 40 vittime.
E altri modi di dire tipici termitani, che avevano a tema sempre la guerra, e che recitavano pure così: “Ca guerra morti, ca paci sorti” ; oppure ancora: “Quannu c’è guerra si pinìa, quannu c’è paci si billìa”.
(Nella foto condivisa da Fabio Chiaramonte, alcune case della via Roma, distrutte dai bombardamenti.)
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