Termini Imerese: al Corso Umberto e Margherita a putia da zzà Maricchia

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TERMINI IMERESE – UNA STORIA D’ALTRI TEMPI

A putia da zzà Maricchia, sorella di mia nonna paterna, era poco più che un bugigattolo; un basso angusto e semibuio che si trovava proprio sul Corso Umberto e Margherita giusto ad angolo con la via Porta Artese. Eppure quello stanzino sembrava veramente un bazar, dove era possibile trovare di tutto; o almeno quel tutto che era ritenuto bastevole per la vita semplice di quei tempi.

C’era la pasta, messa sfusa in cassetti di legno con davanti un vetro, e poi, negli scaffali addossati al muro, formaggi e mortadella; a mia memoria l’unico salume che in quegli anni era possibile trovare con una certa facilità, e che i putiara affettavano con una grossa macchina di colore rosso azionata a mano.

A terra c’erano sacchi di juta con lenticchie, fave, ceci e fagioli, e ricordo bene pure di un “sostanzioso” barilotto di sarde salate di produzione locale, che emanavano un profumo intenso e gradevole.

“Fannu grapiri u pitittu !” Così esclamava ogni tanto qualche cliente o uno dei numerosi passanti che, magari scesi con il treno alla vicina stazione, percorrevano a piedi il corso Umberto e Margherita per recarsi nei tanti uffici sparsi per la città, o ai bagni per le cure termali. Ma da quelle parti stazionavano pure numerosi carrettieri che venivano a caricar carbone in un magazzino che si trovava proprio nelle vicinanze; e così capitava che qualcuno di essi, con quelle appetitose sarde, si facesse preparare un bel pezzo di “pani cunzatu” con l’aggiunta di olio e tuma e spesso anche con qualche lembo di pomodoro secco.

Ed anche il pane era veramente buono; a zzà Maricchia lo comprava infatti da Ferrara, un eccellente panificio che si trovava li a poca distanza, e dove, come mi ricordava l’amico Franco, lavorava anche il giovane Tanu Alaimo, uno dei migliori panettieri della città. Negli anni cinquanta a putia da zzà Maricchia era già tra le più vecchie del Corso Umberto e Margherita; come risulta infatti da un registro comunale dell’epoca, aveva aperto i battenti intorno alla metà degli anni trenta con una licenza di “pizzicagnola”.

Ed anche a quei tempi quella strada poteva ben considerarsi il cuore pulsante del commercio termitano; infatti, sempre negli stessi anni trenta, è riportata la presenza di varie altre attività commerciali. Fra queste ve ne cito alcune, ma non erano le sole, di cui ho ritrovato traccia in vecchi documenti. C’era il negozio di cereali ed olio di Agostino Catalano, il garage di Gaetano e Gaspare Buffa in piazza Crispi, poi Giuseppe Calderaro che vendeva generi alimentari, Vincenzo Cancascì venditore di cordame, Giuseppe Di Bernardo negozio di tessuti, Vincenzo Formusa commerciante di olio; e poi, sempre negli anni trenta, anche un rivenditore di accessori per auto tale Accursio Gallo.

Ma la lista è ancora lunga; c’erano infatti pure i negozi di tessuti di Aguglia e di Salvatore Moreci, la sarta modista Maria Teresa Mirabella, poi Concettina Indorante venditrice di chincaglie, Antonio Lo Presti che vendeva cera, Maria Lo Presti che vendeva materiale elettrico; ed ancora Giuseppe Papania con il suo magazzino di cereali, la macelleria di Giuseppe Sausa, il negozio di mobili di Francesco Raia ed un altro di tessuti di Tommaso Romano.

E ribadisco che non erano comunque i soli e che questo elenco è degli anni trenta; tanti altri infatti se ne aggiungeranno in seguito o magari cambieranno proprietario. A zzà Maricchia, se pur già avanti negli anni, era ancora una bella donna; e la ricordo vestita di nero con i suoi capelli brizzolati, tenuti bene in ordine da un grosso fermaglio. Il marito Santo Virga, come lei originario di Villaurea, era morto nel 1958 e Maria, vedova e senza figli, abitava con Virginia; una delle sorelle di mia nonna materna, sposata con don Letterio originario di Messina.

Tanti anni prima, anche con i risparmi da zza Maricchia, avevano comprato casa proprio nello stesso Corso Umberto e Margherita e giusto davanti alla stessa putia. Era quella una delle più belle palazzine del corso; e loro abitavano al primo piano. Vi si accedeva dalla adiacente via Ostia attraverso un portoncino che immetteva su una ampia terrazza sempre piena di fiori, che don Letterio curava con gran passione insieme ai suoi canarini che a primavera deliziavano i passanti con il loro canto.

Vicino al portone d’ingresso c’era e c’è ancora, un’alta colonna con sopra la statua di San Francesco di Paola; santo a cui peraltro era intitolata l’antica chiesa che si trovava li nei pressi al culmine di una collinetta.
Conoscevo bene a zza Maricchia non solo per i rapporti di parentela, ma perché ebbi modo di frequentarla in maniera più assidua quando, ed ero già alla terza elementare, la mia classe che era alle vecchie case Pirrone vicino Sant’Antonio, venne trasferita a Termini bassa nelle nuove scuole appena ultimate, dette del Santo Padre. Io abitavo nella parte alta della città, ed ogni mattina, di buon’ora, era mia zia Concetta che mi accompagnava a scuola; e spesso insieme a mio cugino Melino con il quale eravamo vicini di casa.

Tante volte si scendeva dalla via Stesicoro, altre dalla via Errante; da qui infatti si aveva la possibilità di passare davanti alla cartolibreria di Giuffrè o da quella vicina di don Nino Faso dove, all’occorrenza, c’era la possibilità di comprare penne, matite o quaderni. Davanti alla chiesa di San Giuseppe, già aperta di buon mattino, mia zia ci faceva soffermare per un veloce segno della croce.

Poi, prima di entrare a scuola, era diventata consuetudine una breve sosta anche alla putia per un saluto a zzà Maricchia; che spesso e quasi di soppiatto, mi metteva nelle tasche del grembiule nero, un paio di caramelle. Ricordo, come le avessi ancora davanti, due vecchie sedie di corda che a zza Maricchia, durante la bella stagione, teneva davanti alla bottega sopra il marciapiedi, che allora nel Corso Umberto e Margherita erano ancora fatti “a ciacatu”, ovvero con pietre di mare . In quelle sedie sedeva spesso qualche cliente, ma ancor di più il nipote mastru Litterio u missinisi; che dopo aver gestito per qualche tempo una bettola a Porta Baddoma, si era messo a fare il sensale e non di rado si intratteneva li con i potenziali clienti.

A zza Maricchia, dopo una breve malattia, moriva nel mese di aprile del 1960; giusto pochi mesi prima che io concludessi le scuole elementari, ponendo così fine anche al piacevole “rituale” del passaggio dalla sua putia. Il negozio, gestito da Don Letterio, sarebbe rimasto aperto ancora per qualche tempo; e la sua chiusura, avvenuta dopo oltre mezzo secolo di attività, avrebbe segnato la fine di un altro pezzo di storia popolare del nostro Corso Umberto e Margherita.
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