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Il
mondo del giornalismo siciliano è a lutto per la prematura scomparsa di un grande giornalista,
Angelo Meli. Si è spento prematuramente a
61 anni nella sua casa di Palermo, colto da un
improvviso malore.
Originario di Campobello di Licata, aveva cominciato negli anni Ottanta occupandosi della cronaca locale di Agrigento.
Successivamente dei temi legati al giornalismo economico. Assunto dal Giornale di Sicilia nel 1991, si era laureato in Scienze della Comunicazione mentre lavorava. Per anni al notiziario, al fianco del caposervizio dell’Economia Natale Conti, aveva curato diverse rubriche di successo.
Tra queste “Il lavoro che c’è”. Negli ultimi anni aveva abbracciato con passione e dedizione la nuova avventura dell’online, con il gruppo di Gds.it. Da sempre al fianco dei giovani cronisti, era il responsabile della comunicazione del Centro Pio La Torre di Palermo.
Il ricordo del giornalista Roberto Puglisi
Me lo sono dovuto fare leggere, perché, appunto, non ci credevo.
Non credevo alla notizia della tua morte.
Sei sempre stato un uomo buono, generoso e disponibile.
Sensibile con noi ‘biondini’ che, con te e con papà Natale Conti, abbiamo cercato di imparare il mestiere.
Ricordo il mio esordio bruciante con te, come tutti.
Ti presentai un articolo di cui ero molto orgoglioso.
La tua sentenza fu: “U’ pezzu fa schifo. Ora viremu chi dici Natà”.
Avevi ragione tu.
Rimasi sette giorni a casa, senza il coraggio di uscire.
Quasi mi convinsi a lasciare perdere.
Tornai, imparai, con umiltà.
E molto del merito fu tuo.
Il settore del lavoro del Gds, la mia prima e mai dimenticata famiglia, a cui voglio un gran bene, era una palestra importantissima.
Se scrivi una breve per raccontare che c’è un posto di stagnino comunale a Calolziocorte, puoi fare di tutto.
A parte il fatto che io so che Calolziocorte è in provincia di Bergamo.
E mai l’avrei saputo, senza quella breve.
Può tornare buono per un quiz.
Vedi, Angelo, mentre piango tornano su le ragioni del sorriso.
Il sorriso di incontrarti.
Il sorriso di conoscerti.
Il sorriso di volerti bene.
Di volere bene alla meravigliosa persona che hai accanto.
Che abbracciamo forte forte.
Ed è il dono che questo mestiere mi ha dato.
Scrivere, per non pensarci.
Per non stare troppo male.
Caro Angelo Meli.
“Angelume”, come dicevi tu stesso di te, con leggerezza.
Un giorno, in una delle tante pause, mi hai raccontato una specie di parabola laica.
Ricordo qualcosa.
C’era uno che partiva e che tornava.
Che tornava e ricominciava.
Che non smetteva mai di ricominciare.
Ti aspetto in un’altra vita, Angelino.
Ti vogliamo tanto bene.
Ti aspetto, giovane biondino, davanti a una scrivania.
E tu mi guardi e mi dici: “U’ pezzu fa schifu”.
Avevi ragione tu, schifo faceva.
Ma questo cammino è stato bellissimo.
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