A Termini Imerese i barbieri hanno le palle

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“Chi sordi ca varagna un varberi, un si pò campari mancu a muggheri!” Sentivo dire così anticamente a qualche barbiere che spesso si lamentava del fatto che con quel lavoro si guadagnasse poco.
 
E forse tanti torti non aveva. Una volta infatti le sale da barba erano piene tutti i giorni; ma il lavoro vero e proprio, quello con il quale si vuscava a simanata, arrivava solo il sabato e la domenica.
 
Infatti, escluso il lunedì che era giorno di riposo, e per questo detto “u lunniri ri varberi”, tanti vi si recavano non per il taglio dei capelli o per la rasatura, ma solo per trascorrere qualche ora in compagnia a discutere o a suonare. Famosi erano i concertini che improvvisati musicisti facevano con chitarra e mandolino; strumenti che i barbieri tenevano sempre a portata di mano insieme a pennelli, forbici e rasoi.
 
Ma voglio qui parlarvi anche di una particolare caratteristica che qualche giorno fa mi ha fatto venire in mente un amico; anche lui appassionato conoscitore di storie termitane. Era un espediente, oggi improponibile, che il barbiere utilizzava quando qualche anziano cliente, ormai con la faccia piena di rughe e la pelle flaccida, andava per farsi radere.
Da una tazza che teneva li a portata di mano, il figaro prendeva una pallina di legno, simile nelle dimensioni a quelle da ping pong, e al momento di rifinire la rasatura la faceva infilare in bocca al cliente per far si che la guancia, rigonfiandosi, rendesse più agevole l’operazione.
 
Prima da un lato, poi dall’altro ed alla fine la pallina, sputata fuori, veniva nuovamente riposta nella tazza, colma di una improbabile soluzione disinfettante, e pronta per passare nella bocca di qualche altro avventore. E a tal proposito, anche nella mia memoria, è “risorto” un personale ricordo.
 
Elio, il barbiere in cui da bambino mi portavano, e che aveva la bottega in piazza Sant’Antonio, sempre per lo stesso scopo utilizzava invece le noci. Ne guadagnava l’igiene; perché a differenza delle palline, le noci dopo l’uso venivano schiacciate ed offerte ai presenti per essere mangiate.
Lo so che adesso nel leggere, qualcuno si starà sentendo male; ma era così, e nessuno se ne lagnava più di tanto. A completare la non certo rassicurante situazione igienica dei saloni, c’era pure a sputacchera; che stava li posta in un angolo, e che il garzone, al bisogno, avvicinava alla bocca del cliente e poi provvedeva a svuotare nell’unico lavandino. E comunque, per farvi “digerire” queste sconcezze, concludo con una bella filastrocca proprio sui barbieri:
“Mi pizzica lu peri, chiamati lu varberi, u varberi è malatu, chiamati lu surdatu, u surdatu partiu e u varberi muriu”.


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