Partire da soli: ingratitudine o bisogno di autonomia?

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Gianluca compirà 17 anni solo a settembre, ma ha già chiesto il suo regalo: poter andare
una settimana in vacanza con alcuni compagni di scuola, nella casa sulla riviera
romagnola di uno di loro. Senza adulti. Sono tutti bravi ragazzi, studiosi e non “casinari”,
qualcuno frequenta la parrocchia, qualcun altro gli scout.

Ma, a parte il desiderio dei genitori di fare ancora tutti insieme le vacanze, non sono ancora troppo piccoli? Papà è
possibilista, ma la mamma ha tanti dubbi: e se gli venisse voglia di fare qualche bravata,
magari trascinato da nuove compagnie conosciute sulla spiaggia? O forse è il momento
giusto perché provino a gestirsi in totale autonomia?

In fondo si si può sentire tutti i giorni
e in caso di emergenza è possibile raggiungerli rapidamente… «Si tratta di una richiesta
“fisiologica”, espressione di un bisogno sano e normale», premette Benedetta Comazzi,
psicologa a Milano. «Non è un segno di ribellione, ingratitudine o irriconoscenza: durante
l’adolescenza i ragazzi vivono il passaggio da una fase di dipendenza a una di autonomia
e quindi si manifesta in loro anche il desiderio di separazione dai genitori o dalla famiglia di
origine, che poi è anche quello che consente loro di sviluppare una propria identità. Per
questo è importante assecondarlo.

La voglia di crescita implica anche un desiderio di
allontanamento dai genitori: per andare verso l’autonomia, in un certo senso è necessario
un contrasto verso i genitori che rappresentano la dipendenza da cui si vuole prendere le
distanze. E quindi ben vengano tutte le esperienze che rispondono a questo desiderio di
separazione e che agevolino la sperimentazione della propria autonomia».

È importante che queste prime esperienze di indipendenza avvengano in un contesto
sicuro e con delle attenzioni: «Prima dei 16 anni sarebbe meglio di no. Poi è chiaro che
ogni genitore vive il proprio figlio nella quotidianità e quindi ha modo di capire se
effettivamente può essere pronto o meno ad affrontare un’esperienza di solitudine. È bene
che siano esperienze graduali, in contesti protetti, come andare tre giorni al mare o in
montagna in una casa vicina a quella degli zii (che magari possono buttare un occhio, con
discrezione) con tre amici, per poi aumentare i giorni o la distanza o il grado di “non
protezione”».

Una via di mezzo possono essere le vacanze-studio: «Danno meno
autonomia perché implicano la presenza di un insegnante o un referente che fa da punto
di riferimento e può risolvere problemi però può essere una modalità di distacco più soft
per i genitori. In ogni caso, è importante che siano i ragazzi a organizzare il viaggio e la
vacanza. Una volta stabilito quale budget dare loro (limitato), li si può aiutare a pianificare
le possibili spese sulla base di ciò che intendono fare, così che i soldi non finiscano prima
dei giorni a disposizione». Quando e quanto telefonare? «La tentazione sarebbe
tempestare il ragazzo di chiamate», continua la psicologa. «Ma io consiglio di non
esagerare, lasciare che siano loro a chiamare, limitandosi a mandare dei messaggi o delle
foto di ciò che si sta facendo, in una sorta di condivisione delle informazioni che potrebbe
indurre i figli a fare altrettanto. È importante non assillarli troppo perché anche il non
chiamare è un esercizio di autonomia: nel momento in cui subentra il desiderio di sentire il
genitore, il ragazzo può gestirlo senza che il suo bisogno sia già stato “saturato” da
mamma o papà».

Per padre Giovanni Calcara, domenicano del Convento San Domenico di Palermo,
«Anche le vacanze rientrano nello stile di vita della famiglia. Non sono solo riposo, sia
pure necessario, da scuola, allenamenti sportivi, catechismo ma anche condivisione con
chi si fa un cammino di fede, di interessi, di disponibilità: e quindi la prima esperienza con
gli amici può essere anche in un campo di lavoro, di volontariato con bambini o disabili, di
tutela dell’ambiente o una vacanza organizzata dal gruppo giovani della parrocchia. È
ovvio che dipende da come i figli vengono “accompagnati” nelle scelte non solo in vista
dell’estate, ma durante tutto l’anno. In ogni caso, non bisogna demonizzare per principio la

Padre Giovanni Calcara

voglia di vacanze senza gli adulti. Se la comitiva è già conosciuta dalla famiglia i pericoli
sono attutiti, perché si sa già chi sono, che ci si può fidare, che c’è qualcuno che magari
ha un ruolo di equilibrio del gruppo, anche senza arrivare a una leadership, così che
ognuno sia responsabilizzato. Bisogna dare fiducia ai ragazzi, così che possano vivere la
vacanza secondo le modalità e gli orari tipici dei giovanissimi. Credo però sia opportuno
che più giovani non si allontanino troppo dalla città di residenza, perché, se la loro età lo
richiede e la vacanza si prolunga, i genitori possono anche andare a trovarli, a turno,
anche solo di passaggio. Comunque, è anche accettabile che facciano qualche sbaglio,
che debbano sbrogliare qualche difficoltà, gestire i soldi se il cibo nella località di vacanza
è costoso e così via. Per fare una “bravata” non c’è bisogno di aspettare le vacanze né di
allontanarsi da casa, i ragazzi possono farla in qualsiasi momento e, viceversa, non farla
mai perché sono assennati».

Mariateresa Truncellito
In “Maria con te”, n. 28 del 9 luglio
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