Lo scrittore professore Carlo Rao dona ai cerdesi il suo ultimo lavoro “Alma Cerda”

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La memoria in Alma Mater è salata come le lacrime,
e i ricordi si confondono tra richiami di profumi ed immagini vivide.
Fanciulle dagli occhi color del cielo
che bruciano innocentissime leggende e momenti carichi di magia, quasi a volerne conservare per sempre l’incanto.

Albe che regalano sogni indecenti e visioni indicibili,
tramonti dai colori di case che si stringono le une alle altre, come a confidarsi memorie febbrili e ostinate.

La terra è parte del poeta, come le sue memorie più vive
sono impresse in ogni pietra, albero, strada e angolo di Cerda.
Un amore profondo e viscerale, che fa male, che ha fatto male, nel sentirsi tanto lontano.
Un patrimonio da preservare e onorare,
anche e soprattutto attraverso le sue storie e le sue leggende.

E allora Carlo scrive di usanze e tradizioni, di pilastri e di campioni. Scrive di leggende di un tempo ormai perduto, nella speranza che, grazie a quelle righe, il suo ricordo possa ancora risuonare forte.

La vita viene immaginata come un sogno, forse un cristallo,
una melodia, piaga e miele. Un viaggio senza biglietto di ritorno, come una rosa che punge e infiora nel suo fiorire irriverente.

Ma i colori sono troppi e solo il bianco ne consente l’armonia,
rinnovandoli e sfumandoli a ogni loro apparire sulla scena.
Maria incarna questa essenza bianca, parola vivente vestita di luce.

La poesia, il teatro, la pittura, i libri sono parole bianche,
che tendono al candore da cui traggono origine e significato.
Il bianco contiene ogni altro colore e ne consente il fluire infinito.

Maria e il bianco sono principio e fine di ogni cosa,
come i fondali mutevoli della vita che ne scandiscono il mistero.
Tutto in loro trova senso e conclusione, per poi rinascere in una nuova alba.
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