Un giorno d‘estate di circa dieci anni fa un carissimo amico mi chiese se potevo assistere una signora in difficoltà, sola e gravemente ammalata
Raccolsi con piacere l’invito.
Ebbi modo di seguirla in alcuni procedimenti di natura previdenziale e notai, con il tempo, che la croce della ingiustizia e l’amarezza della solitudine venivano trasformate in amore, gentilezza, cortesia, generosità.
Con il tempo, esaurita l’attività di consulenza legale, la signora con l’aggravarsi della malattia, ogni venerdì pomeriggio, inverno o estate che fosse, con puntualità svizzera, alle 17:00, si faceva trovare in studio.
Con il suo sacchetto sempre pieno di esami (del sangue, radio, ecc.) aggiornati alla settimana che andava a concludersi, raccontava le ultime peripezie mostrando, contestualmente, i referti.
Ovviamente, poco o niente riuscivo a comprendere, pur tuttavia, di settimana in settimana, capivo che le faceva piacere che io lèggessi gli esiti, che mi interessassi, che chiedessi notizie e approfondimenti.
Con il passare del tempo, purtroppo, il male andava progredendo e pur nella mia assoluta incompetenza medica, cominciai ad avere la sensazione che la situazione stesse precipitando.
Tuttavia Lei attribuiva il peggiorare dei sintomi e dei valori alle cure e non al male che la stava corrodendo in forma sempre più devastante.
Pur essendo assistita, in particolare nell’ultimo periodo, da ottimi medici e da tanti amici, il male correva veloce.
La voglia di vivere si leggeva nei suoi occhi, nelle sue parole, nei suoi “ci vediamo allo studio da te venerdì 30 giugno” non appena esco dall’ospedale.
Purtroppo, la mia amica, il 26 giugno scorso ha perso la battaglia contro quella belva feroce che aveva dentro.
Ho appreso dopo la sua scomparsa che aveva raccontato agli amici del suo “rapporto speciale”, dell’appuntamento fisso del venerdì pomeriggio.
Oggi è stato il primo venerdì pomeriggio senza di Lei.
Quella sedia vuota, la solita chiacchierata, l’appuntamento a venerdì prossimo, le terapie effettuate e da effettuare, nulla di tutto ciò.
Una cosa, cara Mariella mi hai lasciato.
La consapevolezza che da una vita di solitudine e dolore, alla fine nasce un fiore.
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