Ai primi casi in classe scatta la “caccia all’untore”. Eppure è noto che non è questione di scarsa igiene, ma cercare a ogni costo il colpevole è più forte di ogni ragione…
Un problema che si ripresenta ogni anno, spesso più di una volta, dall’asilo in poi e che a volte finisce per contagiare anche i fratelli e gli adulti della famiglia: i pidocchi. Indubbiamente uno dei contagi più “antipatici” e difficili da debellare che ci siano, nonostante i molti rimedi – shampoo, lozioni, oli naturali, pettinini ad hoc… – a disposizione. La pediculosi è molto comune: ogni anno, infatti, ne vengono colpiti oltre due milioni di italiani. Bambini, in particolare tra i 3 e gli 11 anni, ma anche quanti gravitano intorno al loro mondo (genitori, nonni, insegnanti, baby sitter) e chi viaggia spesso.
Medici e dermatologi si affannano a ripetere che ormai non è un problema che dipende dalla povertà, dalla noncuranza o dalla sporcizia, anzi, pare che gli odiosi parassiti prediligano le teste pulite, e purtroppo si sono selezionate specie resistenti ai trattamenti farmacologici. Ma come sa bene qualunque genitore che faccia parte di una “chat di classe” c’è ancora chi dice che “ci deve essere sicuramente qualcuno di sporco”, chi accusa la scuola di non fare nulla “perché le aule sono piene di pidocchi” e chi stigmatizza chi fa “finta di niente”. Se il genitore interessato dal problema avverte gli altri, perché così possano subito controllare le teste dei loro figli, c’è anche chi non si fa scrupolo di dire al proprio piccolo di tenersi lontano da quel bambino o da quella bambina anche a contagio finito “perché non si sa mai”, col rischio che finisca ghettizzato.
Al di là delle soluzioni “cosmetiche”, è evidente che restano ancora da trovare quelle contro i pregiudizi e l’ignoranza (e la cattiveria) degli adulti. «L’allarme pediculosi scatena il panico. C’è chi richiede a gran voce “trattamento obbligatorio stasera stessa per tutti i bambini” e chi si sente in dovere di postare sulla chat una foto del bambino con la pellicola trasparente sulla testa per far aderire bene la lozione», conferma Benedetta Comazzi, psicologa a Milano. «È indubbio che l’infestazione sia antipatica, frustrante e impegnativa, e che possa generare anche paura. Ed è altrettanto vero che la scuola è di fatto una piccola comunità e le azioni dell’uno influiscono sulla vita dell’altro. Il non avere il controllo su ciò che l’altro fa, favorisce l’aumento della paura verso la situazione. Per cercare di recuperarlo, si cerca l’untore o una motivazione a tutti i costi, finendo però per perdere la razionalità, appellandosi a difese e rassicurazioni che di per sé non hanno senso: tipo “Io faccio con cura il trattamento, mentre la mamma del compagno di classe è separata, ha sempre poco tempo e non ha la stessa attenzione. Quindi basta che mio figlio non giochi con lui e sono a posto”».
Pregiudizi e stereotipi diventano rassicuranti, danno la sensazione di sapere come funzionano le cose e quali siano quelle da fare, e per questo attecchiscono. «Considerazioni irrazionali, che odorano di ignoranza, ma che in realtà sono più tentativi di placare la paura e recuperare il controllo sulla situazione», continua Benedetta Comazzi. «Tutto ciò però porta a una sorta di “isteria collettiva” poco lucida e poco funzionale per risolvere il problema in modo efficace». Cercare di opporsi in chat a certi modi di pensare è sconsigliabile, secondo la psicologa, «Perché il rischio è di innescare dinamiche di rabbia e polemica difficili da governare. La cosa migliore è fare ciò che si ritiene meglio per il bambino, con controlli e trattamenti preventivi, per esempio. A livello educativo e valoriale, si può parlare col bambino del problema in termini semplici, anche con l’aiuto di libri e cartoni animati, in modo che abbia informazioni corrette, destrutturando pregiudizi e stereotipi. Dovrebbero farlo i genitori, ma anche gli insegnanti»,
È d’accordo padre Giovanni Calcara, domenicano del convento di Soriano Calabro (Vibo Valentia): «Il “dagli all’untore” è sempre d’attualità, oggi nella versione aggiornata che corre su social media e chat. Di fronte a una emergenza – che siano i pidocchi, un’infezione respiratoria o qualsiasi evento che possa mettere sotto accusa qualcuno, è bene che genitori, insegnanti, educatori siano prudenti nell’esprimere giudizi. La persona, il bambino o la sua famiglia, interessata dal problema va sempre aiutata a recuperare la propria serenità e dignità. Vale sempre il comandamento che ci ha dato Gesù “Ama il tuo prossimo come te stesso”.
Invece di puntare il dito e cercare capi espiatori, chiediamoci “Ma io come mi sentirei se fosse toccato al mio bambino? Come mi sentirei se venissi marginalizzato?” e dobbiamo quindi comportarci i conseguenza con gli altri: ci vuole carità, comprensione e una rete i solidarietà. È importante che un caso di pediculosi emerga subito, per prevenire il contagio, e non c’è nulla di cui vergognarsi, perché può capitare a chiunque. E i bambini andrebbero sensibilizzati a manifestare solidarietà e incoraggiamento ed educati al rispetto, non alla marginalizzazione degli altri. Così ci guadagna tutta la comunità».
Mariateresa Truncellito
In “Maria con te”, n. 15 del 9 aprile
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