A volte i bimbi temono le burle degli amichetti e anche i genitori fanno resistenza alle prescrizioni degli oculisti. Invece devono trasmettere loro sicurezza…
Serena ha notato che la sua bimba, Martina, 2 anni e mezzo, mentre guarda la TV ruota la testa e guarda con l’occhio sinistro. Ha il sospetto che, come ha letto sul web, possa avere l’occhietto destro pigro e sforzare di più il sinistro. Ha letto anche che la terapia di base consiste nel bendare l’occhio più attivo per “far lavorare” l’altro. E se i compagni dell’asilo la prendono in giro?
L’ansia dei genitori quando ai bambini serve un ausilio – un cerotto, gli occhiali, la macchinetta per i denti… – è comprensibile. Ma le correzioni dei problemi fisici e di salute precoci permettono di evitare guai più seri in adolescenza o da adulti. Del resto, appena il piccolo comincia a distinguere il viso di genitori e nonni e a rispondere al loro sorriso (intorno ai 2 mesi e mezzo), l’occhio è il suo più importante organo di senso. Ben l’80 per cento delle informazioni che arrivano al cervello dall’ambiente passano dalla vista. Perciò la prima visita oculistica viene effettuata a tutti neonati prima che vengano dimessi dai reparti di maternità. Poi anche il pediatra può valutare la salute dell’occhio.
Ma, esperto a parte, come si fa a capire se il bambino ci vede bene? Risponde Francesco Carones, chirurgo oculista a Milano: «Mamma e papà, guardando nell’occhio del bambino possono accertarsi che al centro della pupilla ci sia la macchia nera e nessuna zona bianca, segnale di cataratta congenita. In caso contrario, è bene portare subito il piccolo dall’oculista, perché è necessario intervenire chirurgicamente prima possibile, già a 6 mesi-un anno».
La cataratta congenita è appunto una delle cause dell’occhio pigro (ambliopia): «Un problema diffuso, che riguarda l’area del cervello che serve per “sviluppare” le immagini. Rimandare l’intervento a quando il bambino sarà più grande, come spesso auspicano i genitori, può comportare il rischio che il mancato sviluppo cerebrale non sia più recuperabile e l’area corticale non “veda” più». L’oculista suggerisce un altro “esame”: «Giocare con pupazzetti o lucine, per osservare se il bambino gira la testa e segue l’oggetto con gli occhi, usando qualcosa che non faccia rumore (non un sonaglino quindi). Il gioco va fatto con un occhio alla volta, per esempio coprendo l’altro con il cappellino storto. Se si ha il sospetto che qualcosa non va, è bene rivolgersi subito all’oculista».
Le preoccupazioni di mamma e papà per le reazioni altrui sono comprensibili, ma a volte eccessive: se il bambino è riottoso per fargli accettare un occlusore per l’occhio pigro si può cominciare per con qualche ora al giorno, magari quando è a casa. Se si temono prese in giro per la sua “diversità”, anche le maestre possono dare una mano: per esempio, spiegando a tutti che il bambino ha la benda come il pirata Barbanera… E lo stesso approccio vale per gli occhiali, scegliendoli con una montatura allegra e del suo colore preferito.
«I bambini possono nascere miopi, astigmatici o ipermetropi», spiega Carones. «Se il difetto è lieve, si può aspettare. Se invece è accentuato, si corregge con occhiali o le lenti a contatto. Queste ultime si possono prescrivere già a un anno-un anno e mezzo, soprattutto se il problema è più forte in un occhio, per evitare il rischio di ambliopia». Molto diffuso è anche lo strabismo.
«Il cervello riceve messaggi visivi in conflitto tra loro, sopprime uno dei due occhi e, di nuovo, si ricade nell’ambliopia. Se il difetto è accentuato e non è possibile correggerlo coprendo con una benda o un occhiale con una lente satinata l’occhio sano per far lavorare l’altro, il bambino può essere operato già a un anno e mezzo-due». Se non ci sono segnali, per la visita oculistica si può aspettare che il bambino abbia 5-6 anni.
Per padre Giovanni Calcara, domenicano del convento di Soriano Calabro, «Le preoccupazioni dei genitori rispecchiano l’attuale aspirazione al “figlio perfetto”. E si rifiuta qualsiasi cosa possa inficiare l’ideale di bellezza rappresentata dall’influencer, dalla moda, dallo spettacolo: nel talent show dedicati ai ragazzi si tiene conto non solo delle capacità artistiche dei concorrenti, ma anche dell’aspetto fisico. Si sono così fissati standard che creano la paura di accettare la realtà come limite di confronto e di crescita: un bambino deve sapere di valere per quello che è, per le sue capacità intellettuali, il suo bel carattere, la generosità… non perché non porta gli occhiali. I genitori devono essere capaci di tirare fuori il meglio che c’è nel figlio, aiutarlo a essere se stesso, non mettergli un bel vestito o preoccuparsi perché deve mettere gli occhiali o l’apparecchio ai denti, ma amarlo come è e insegnargli ad accettarsi com’è, non a essere “come gli altri”.
Il limite umano non deve essere sminuente: ognuno nella diversità, data anche dai limiti, esprime il proprio io. Gesù ne parla nella parabola dei talenti: ciò che conta è far fruttificare i talenti che Dio ci ha donato, e il genitore deve essere contento perché collabora all’opera di Dio rendendo suo figlio una persona responsabile di se stessa e capace di affrontare le difficoltà della vita e le crisi. Fin dall’infanzia».
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