Ritenendo ammissibile l’istanza di revisione proposta dagli avvocati Giovanni Castronovo e Raffaele Bonsignore, la seconda sezione della Corte di Appello di Caltanissetta, presieduta da Maria Carmela Giannazzo, ha riaperto il processo a carico di Giovanni Rao, condannato in via definitiva a 6 anni per aver posto in essere un’estorsione, in concorso con altri, nei confronti dello chef Natale Giunta.
Nel corso della prossima udienza, che si terrà il prossimo 25 maggio verrà sentito in aula il collaboratore di giustizia Alfredo Geraci, il quale, nell’ambito di altro processo ha sostenuto che il Rao è stato vittima di un errore giudiziario, essendo stato condannato pur essendo innocente, visto che a commettere sarebbe stato altro soggetto.
A marzo del 2013 vennero arrestate altre persone per le richieste di pizzo allo chef che sono state poi condannate, ma Rao venne chiamato in causa solo successivamente. Durante un incidente probatorio, infatti, Giunta riconobbe anche Rao, fruttivendolo di Ballarò, come uno dei suoi taglieggiatori e così scattò l’arresto.
Pochi mesi dopo, la sezione Misure di prevenzione del tribunale, allora presieduta dall’ex giudice Silvana Saguto, dispose il sequestro di beni per 650 mila euro a carico dell’imputato: i giudici ritennero che non fosse possibile che un ambulante potesse possedere, tra l’altro, cinque appartamenti, un negozio, una Smart, una Mercedes e una Bmw. La difesa di Rao, però, dimostrò che quel patrimonio era stato acquisito in maniera più che lecita: il figlio dell’imputato, Vincenzo, aveva infatti avuto nel 2003 un gravissimo incidente, riportando lesioni invalidanti, ed era stato risarcito dall’assicurazione con un milione di euro. Soldi che avevano quindi consentito l’acquisto regolare dei beni, che furono così restituiti a Rao.
Il fruttivendolo si è sempre detto innocente e più di una volta, soprattutto durante il processo di primo grado, in aula vi furono tensioni. La sua condanna, però, basata anche sul riconoscimento compiuto dallo chef Giunta, ha retto in tre gradi di giudizio. Ora, invece, grazie alle dichiarazioni dell’ormai ex pentito, traballa.
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