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Termini imerese: “la via delle spine” storia popolare della nostra città

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Sono tante le strade di Termini che attraverso il loro nome raccontano tratti di storia popolare della città; ed una di queste è proprio la “Via delle Spine”.
Un nome strano, o comunque particolare, che ci riporta ad un passato ormai lontano quando, per come si racconta, questa via doveva essere più simile ad un sentiero di campagna.
La strada, in parte a scalini, inizia oggi il suo percorso dalla via Ospedale Civico e lo termina incrociandosi con la via Fiume quasi nei pressi di Piazza Sant’Antonio.
Da quel che se ne sa il nome è dovuto al fatto che anticamente, quando non c’erano ancora case, li vi fosse una lunga fila di rovi che delimitavano il vasto giardino che faceva parte del convento dei frati cappuccini di San Girolamo poi divenuto Ospedale della SS. Trinità.
La denominazione ufficiale di questa via compare per la prima volta in uno stradario comunale del 1878 che la riporta come “Vico delle Spine”.
In quel periodo la strada con molta probabilità si fermava davanti alla vecchia cinta muraria della città, che era ancora integra fin verso la fine dell’ottocento, incrociandosi nella sua parte alta con la cosiddetta “strata ru funnicu”.
Quest’altra via che ebbe poi a chiamarsi Ovile ed oggi Caruso, era così denominata perché proprio li, e giusto nei pressi della antica porta di Girgenti, c’era un piccolo fondaco dove tanti viaggiatori che entravano in città potevano rifocillarsi e far riposare le bestie.
Tra gli anni cinquanta e sessanta del novecento, ed essendo io nato proprio in questa strada mi vengono in aiuto anche i miei personali ricordi, la via delle Spine era popolarmente conosciuta pure come “a strata ri vardia carcereri”. Si sappia in tal senso che in una parte di quel giardino che era delimitato dai rovi che avevano dato il nome alla strada, nei primi anni del novecento venne costruito il nuovo carcere detto dei “Cavallacci”.
E così tanti agenti di custodia che in quel penitenziario prestavano servizio, proprio per essere vicini al loro luogo di lavoro, avevano scelto di stabilirsi proprio in alcune case di questa via.
Personalmente ne ricordo alcuni, ma probabilmente non erano i soli; e tra questi c’era mio nonno materno Domenico Di Salvo nativo di Milazzo, poi mi vengono in mente i signori Messina, Capizzi, Cardella, Pedi; insomma un piccolo esercito in divisa che ogni giorno animava quella strada.
La via e le altre adiacenti che componevano il rione, ovvero via delle Capre, Via Amato, Via delle Mandrie, erano comunque prevalentemente abitate da contadini; e proprio fin nei primi anni sessanta del novecento, era possibile vedere tanti muli legati davanti alla porta delle case, oppure la caratteristica iargia dove le donne allevavano galline.
Durante la stagione estiva la via si animava; rallegrata soprattutto dal vociare dei bambini che, finite le scuole, si riversavano in strada a giocare.
Ma soprattutto nel pomeriggio ed in attesa che a scuràta i viddani tornassero dalla campagna, erano tante anche le mamme e le nonne che si sedevano all’aperto a conversare o per rammendare.
Particolare era poi il profumo di basilico esposto sui davanzali, e quello intenso di origano messo ad asciugare; odori che si mischiavano con quelli di sulla e fieno che i contadini portavano dalla campagna e che serviva per dar da mangiare agli animali.
La via delle Spine era poi arricchita da numerose viti che piantate davanti alle case si arrampicavano fin su balconi e terrazze a formare suggestivi pergolati da cui pendevano biondi grappoli d’uva.
Qualcuno poi, in occasione della festa dell’Assunta, in rispetto delle antiche tradizioni, preparava a cappella; davanti alla quale a sera, il vicinato si riuniva per le lodi e la recita del Santo Rosario.
Parliamo di tempi in cui la semplicità era ancora regola di vita; e se pur fra tante difficoltà, nei quartieri popolari questi momenti venivano vissuti con sincero spirito di amicizia e di fraternità.
Oggi la via delle Spine più nulla conserva a ricordo di quei tempi; le vecchie abitazioni sono state tutte risanate e nel rione non v’è più traccia ne di contadini e ne di verdi pergolati.
Circondato dalle case e quasi nascosto alla vista, rimane ancora un lembo dello storico giardino dei cappuccini.


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Redazione Palermo

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