La nostra vita, la vita che tu ci hai dato, è fatta di incontri, [incontri] che sono come i fili di un tessuto che a mano a mano si intreccia e costituisce, di giorno in giorno, la trama della nostra esistenza. Noi siamo, in fondo, sin dall’inizio, sin dal grembo della nostra mamma, [noi siamo] gli incontri che facciamo. E quanto è stato importante per me, quanto è stato importante per tutti noi, per ciascuno e ciascuna di noi, per tutta la Chiesa di Palermo, aver incontrato Fratel Biagio, così come – ce ne siamo accorti più che mai in questi giorni – per tutti coloro che ha raggiunto col suo cammino e col suo sguardo, testimoni semplici e potenti del suo limpido innamoramento del Vangelo da saper turbare, interrogare, invitare altri all’innamoramento, quasi come fossero letteralmente capaci di spandere un profumo, il profumo di Cristo.
Quei suoi occhi pieni di cielo, potremmo dire prendendo a prestito le parole di Francesco, del Santo che più di ogni altro lo ha ispirato, ecco, quei suoi occhi “de Te, Altissimo, portavano (e portano) significazione” (cfr FF 263). Possiamo anche noi, stamattina, o Padre, cantare con il povero di Assisi: “Laudato si mi Signore per Fratel Biagio”. A Lui hai donato il tuo Spirito. Camminava lungo le nostre strade – e continuerà ancora a farlo – per donarci la certezza del tuo sorriso, della tua accoglienza, della tua giustizia, della tua preferenza per i poveri. Il suo sorriso, il sorriso di Biagio: sommesso e splendente, chiaro e profondo, intimo e aperto. Quel sorriso, o Padre, portava il segno della tua presenza, era una luce in cui riposare, uno spazio che ci era (e ci è) donato per vedere, con gli occhi del cuore, un’immagine del tuo sorriso accogliente sul mondo. Non il sorriso di circostanza di chi come noi tante volte preferisce l’ipocrisia alla verità. Non il sorriso superficiale e bonario di chi non discerne, di chi fa passare tutto, giustifica ogni cosa. Non il sorriso di chi si schermisce per non compromettersi. Bensì il sorriso di chi comprende il faticoso travaglio del mondo, di chi è pronto a dedicare la sua cura benevola ad ogni creatura e però su tutte predilige quelle che gli altri dimenticano, quelle che la storia calpesta: i più poveri, i più fragili, quelli che si sono smarriti e – come a Biagio stesso era accaduto – sono alla ricerca di una “via altra”. Per dire loro: io sono con voi, io non vi abbandono, io sorrido sulla vostra vita e la abbraccio, la assumo, la porto in grembo. E l’ingiustizia non sarà l’ultima parola.
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Perché Fratel Biagio, Padre, tu lo sai, era un lottatore. Un mite, potente lottatore. Lottava con l’arma del digiuno per tendere al massimo la sua forza umile e non violenta. Lottava così per insegnarci che è possibile combattere ogni forma di violenza e non essere violenti, portare la Croce di Cristo e la croce del povero, soffrire e donare gioia e speranza. Come ad insegnarci che i discepoli del tuo Figlio non sono sofferenti ripiegati su sé stessi in un mondo perduto, né gaudenti ignari del male, ma donne e uomini che nel dolore vivono e donano, al di là di sé stessi, la gioia della tua realtà, del tuo essere accanto a chi
ha fiducia in te: “Perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro…” (Sal 15,10).
Padre santo, la vita di Fratel Biagio è stata così. Ed è stata così perché lui ha ascoltato la voce del tuo Figlio, del suo Evangelo: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi” (Mt 19,21). Fratel Biagio ha lasciato quello che aveva, lo ha dato ai poveri. Ha risposto di sì. Ti ha cercato, trovato e seguito. Ha risposto di sì… La sua vita è stato un canto senza fine del Salmo responsoriale di oggi: “Sei tu il mio Signore, senza di te non ho alcun bene” (Sal 15,2).
Fratel Biagio aveva compreso e viveva il “Deus meus et omnia (Mio Dio e mio Tutto)” che risuonava sulle labbra di Francesco di Assisi (cfr Bartolomeo da Pisa, De Conformitate Vitæ). Novello cantore di una povertà che è fiducia totale in te e condivisione con le vittime della “cultura dello scarto” (Papa Francesco). A Fratel Biagio hai dato il triplice dono di vivere da povero, di vivere con i poveri e di vivere per i poveri. Mentre il giovane ricco, sulla strada di Gesù di Nazareth, pensava che la vita che il Signore gli prospettava fosse inaudita, insostenibile, impossibile fino alla soglia dell’assoluta tristezza, Fratel Biagio si è fidato della risposta che il tuo Figlio diede a Pietro, sbigottito perché i ricchi non sarebbero entrati nel Regno: “Impossibile presso gli uomini. Ma a Dio tutto è possibile» (Mt 19,26). Nella vita di Biagio questa parola di Gesù si è adempiuta pienamente. Nessuno di noi avrebbe mai sospettato che nella sua esistenza apparentemente fatta di stenti, di smarrimenti, di immersione nel buio e nel nulla, risiedesse il segreto della gioia, la forza del Vangelo, il mistero del Regno. Presso Dio tutto è possibile. Presso Dio la prossimità con i poveri può diventare e diventa sorgente di vita nuova”.
Ecco o Padre, abbiamo parlato dei poveri di Fratel Biagio, ma tu sai che tutti lo sentivamo vicino, perché chi di noi in verità non è povero? Siamo tutti poveri, anche quando non lo sappiamo. E incontrando Biagio ci ricordavamo di quanto ogni vita possa essere consumata e rimpicciolita dalle nostre povere false grandezze, e di quanto ogni vita può essere vibrante, se condivisa con te e con i fratelli. Fratel Biagio faceva suo un altro versetto del Salmo di oggi: “Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita» (Sal 15,5). L’unica eredità di cui Fratel Biagio si è appropriato è stata il dolore e la
povertà dei fratelli. L’eredità che ci lascia è la ricchezza del suo esempio che riscalda il cuore e ci fa sperimentare nel nostro corpo la tua Presenza che riempiva il suo corpo, i suoi cammini, il suo respiro. Tutta la nostra vita è nelle tue mani: Fratel Biagio lo sapeva e a te si consegnava, ponendo in quelle mani tutta la sua fiducia, tutta la sua confidenza”.
O Padre, com’era liberante incontrare Fratel Biagio! Era pieno, era ricco. E non aveva niente. Non gli mancava nulla. Solo i poveri, la pace e la giustizia erano le sue passioni. Vedevamo in lui una certezza che vorremmo diventasse sempre nostra, di ogni uomo e di ogni donna di buona volontà: «Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 15,11). C’era una dolcezza nel suo essere che veniva da un Altrove, una vitalità che trovava le sue sorgenti in uno spazio inedito, nella tua invisibile presenza. Per questo Fratel Biagio era vivo. Pieno di vita anche alla fine, sul letto che era diventato la sua croce. Sempre attento a ciò che succedeva nella città terrena, sempre in movimento. Anche alla fine, quando non poteva più muovere i piedi, le gambe, ma continuava a muovere il suo cuore, sul sentiero della vita. E il sentiero della vita eri tu, o Padre. E la sorgente della gioia eri tu. La gioia che non lo ha abbandonato. Quella gioia che non è sottoposta alle vicende della salute e della fortuna. Quella gioia che dai tu. Tu che sei gioia, gioia piena, luce senza tramonto, gaudio senza fine.
O Padre, nell’abbondanza dei doni che tu elargisci ai tuoi servi, dobbiamo ringraziarti perché sentivamo piena e senza fine in Fratel Biagio quella dolcezza che a tratti sentiamo anche noi, nei nostri cuori, nella nostra preghiera, nel nostro essere Chiesa, nel nostro essere fratelli e sorelle solidali. È la dolcezza di essere amati, perdonati e consolati da te. Quante volte parlando con lui guardavamo ‘alla sua destra’… Perché eravamo sicuri che tu c’eri. Perché quando tu ci guidi, quando sei ‘alla nostra destra’, la nostra vita trova il sentiero e il nostro cuore gusta quella dolcezza «segreta» di cui parlava Chiara d’Assisi (Terza Lettera ad Agnese di Praga, in FC, 24), la dolcezza che tu riservi a chi in te crede, in te spera, te ama.
Padre buono, il nostro Fratel Biagio ha amato la sua Palermo, si è coinvolto nelle sue sofferenze e contraddizioni come il nostro don Pino Puglisi. Ha amato ogni città meta del suo lungo pellegrinaggio, ha amato ogni città del mondo. Nella Gerusalemme terrena, tu lo sai, Biagio ha dato voce al bisogno che abbiamo di te. Come fa una città a essere senza Dio? Sappiamo bene che questa parola, che questa domanda nulla ha a che vedere con una sterile nostalgia del passato. Non vuol dire – questa domanda –
fare di te un vessillo, un possesso, un codice morale, una presenza invadente e legiferante, che sottrae al creato la sua libertà, il suo arbitrio. Quella libertà e quell’arbitrio che tu gli hai donato, che tu ci hai donato. Non possiamo parlare di te così, stamattina, davanti a Fratel Biagio. Il Dio che non può mancare nella città è per lui, profondamente, quel povero con cui il tuo Figlio si è identificato, quel povero che sei tu. Che sei scandalosamente, impensabilmente tu. La città degli uomini non può essere senza Dio perché non può essere senza i poveri, perché non può pensarsi e vivere senza fare dei poveri il riferimento ultimo, il punto più alto, la vedetta delle proprie mura e la base della propria strada. Per questo Fratel Biagio ha
dato voce a coloro che non hanno voce, a coloro che levano il grido della disperazione, a coloro che, anche se non lo sanno, si attaccano ai beni di questo mondo per paura di cadere nel vuoto di una vita senza Dio. Sulle labbra del suo cuore risuonavano le parole di Gesù: “I poveri infatti li avete sempre con voi” (Gv 12,8).
“Come fa una città a essere senza Dio?” è la domanda che Biagio ha incessantemente incarnato non solo col suo spirito profetico, ma con la libera radicalità della sua scelta e con la concreta fattività della sua opera, ricordandoci che un cristiano che prende sul serio il Vangelo riesce davvero a cambiarla, questa città umana: ci ha provocati a trovare la nostra risposta, ognuno la propria, interrogandoci sul senso del nostro agire come individui. Il segno che lascia nel cuore della nostra Palermo è un dono grande che abbiamo ricevuto, ma anche un compito grande: la sua domanda, lo sappiamo, continuerà a provocarci intimamente e collettivamente. Se per consolarci della perdita di questo nostro fratello – perché Fratel Biagio ormai era diventato ospite, fratello di ogni casa, era diventato ‘nostro’ – dovessimo dirci e ripeterci cosa egli ha fatto veramente, ci verrebbero alla mente le parole del profeta Michea: «Ha praticato la giustizia» (cfr Mi 6,8), ovvero: ha dato a Dio quel che è di Dio (tutto!) e ai fratelli quello che è dei fratelli (il suo amore, i suoi beni, il suo tempo, le sue forze). Con libertà e parresia! Biagio, o Padre, ha amato la pietà. A noi appariva sempre in preghiera. A lui hai ispirato di ritirarsi nell’eremo per lunghi periodi, sull’esempio di Sant’Antonio il Grande. Avevamo l’impressione, quando ci parlava, che nello stesso tempo fosse in contatto con te. Con lui ci sembrava di essere in una situazione speciale: parlavamo con lui e sentivamo che c’eri tu. E sentivamo che c’erano tutti i fratelli e le sorelle che egli incontrava sul cammino. Davvero Biagio ha vissuto la sua vita camminando umilmente (e cioè con mitezza, dandoci la mano, stando con noi all’ultimo posto) con te, con il suo, con il nostro Dio, come ci ha ricordato oggi Michea (cfr 6,8). Padre, noi abbiamo anche visto piangere Fratel Biagio. Fa’ che possiamo rimanere anche noi turbati perché “l’Amore non è amato” e avere lacrime come le sue. Come quelle dell’umile Frate d’Assisi.
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