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Del ‘maestro di Regalpetra‘ non si sa mai abbastanza, i momenti conviviali nell’ amata contrada noce erano noti: spesso nei fine settimana si ritrovavano ,nella casa di Sciascia, Vincenzo Consolo ,Gesualdo Bufalino e Renato Guttuso.
E allora accadeva che tra una partita a scopa, la lettura dei giornali, discussioni sulla attualità, si preparava anche la salsiccia di Racalmuto sulla brace del camino.
Era un piacevole rito per Leonardo Sciascia che era convinto ( lo sono anch’io) che il cibo va gustato piacevolmente in compagnia di altri, siano essi congiunti o amici fraterni.
Perché anche davanti ad un piatto si dimostra di volersi bene.
Una filosofia di vita tipica della provincia siciliana, della campagna.
Una ritualità che purtroppo al giorno d’oggi, in cui si corre sempre, si rischia di cancellare lentamente.
Sciascia scriveva anche nel giornale l’Ora, io che compravo il quotidiano palermitano del pomeriggio in quella fine degli anni ottanta non vedevo l’ora di leggere il suo pezzo su cultura e politica, la seconda passione dello scrittore agrigentino.
Sciascia affermerà in seguito di avere iniziato a scrivere per motivi terapeutici, dopo il tragico suicidio del fratello, e allora, le parole non dette, le emozioni non svelate, un senso di colpa ingiustificato e ingiustificabile lo portano appunto a scrivere.
A fare uscire tutte quelle emozioni sopite e non sfogate col pianto, ma che appunto con la scrittura venivano fuori lentamente, magicamente direi, trasmettendole al lettore.
Sciascia è la nostra anima, il maestro Camilleri si ispirò molto a lui, e forse senza Sciascia la Sicilia letteraria sarebbe diversa, più povera, meno emozionale.
A lei, caro ‘maestro di Regalpetra’, come la definì in uno straordinario libro biografico Matteo Collura, il mio appassionato ricordo.
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