L’Autorità Giudiziaria ha disposto, altresì, il blocco di tali crediti fiscali inesistenti, con il sequestro preventivo di
denaro, beni e assetti societari in misura equivalente al profitto del reato, ammontante a 115.135.522,00 €.
Il provvedimento è stato emesso all’esito di un’articolata indagine delegata dalla Procura della Repubblica di
Ragusa e condotta dai finanzieri della Compagnia di Modica che, tramite i dati estratti dalla “Piattaforma
Cessione Crediti” dell’Agenzia delle Entrate, l’approfondita analisi della documentazione bancaria, i mirati
sopralluoghi e la raccolta di testimonianze da parte di persone informate sui fatti, hanno portato alla luce il
complesso meccanismo fraudolento con cui è stata perpetrata la truffa a danno del bilancio dello Stato.
Inoltre, la complessa ricostruzione delle transazioni finanziarie ha consentito di accertare l’autoriciclaggio di
oltre 57 milioni di euro.
Le indagini delle Fiamme Gialle di Modica sono scaturite dagli approfondimenti sulla posizione di una società di
Roma, riconducibile ad un soggetto modicano, formalmente operante nel settore della costruzione di edifici
residenziali, ma di fatto una mera cartiera, che, preliminarmente, è risultata aver acquistato 3 milioni di euro di
crediti d’imposta senza aver pagato alcun corrispettivo, successivamente monetizzati in parte mediante cessione
a Poste Italiane.
Le liquidità finanziarie entrate nella disponibilità dell’imprenditore sono state immediatamente
sottoposte a sequestro d’urgenza per un importo superiore a 354.583,00 euro, al fine di impedirne la dispersione,
già nelle prime fasi dell’indagine.
Grazie ai successivi accertamenti, sono state rilevate due principali modalità di esecuzione della frode: in primo
luogo, è stato individuato un imprenditore campano che, tramite diverse società a lui riconducibili, ha falsamente
attestato di aver ricevuto molteplici lavori di ristrutturazione edilizia da proprie società o da altri imprenditori
compiacenti, che hanno acquistato così oltre 43 milioni di euro di crediti d’imposta mediante l’opzione dello
“sconto in fattura”; inoltre, è stato accertato che lo stesso imprenditore, unitamente a un complice, ha effettuato
centinaia di comunicazioni dell’opzione relativa agli interventi di recupero e restauro edilizio, in realtà mai
avvenuti, sulla piattaforma dell’Agenzia delle Entrate per conto di altre persone proprietarie di immobili,
dichiarandosene erede e trasferendo circa 72 milioni di euro di crediti d’imposta fittizi sui cassetti fiscali delle
proprie società. I successivi riscontri hanno permesso di accertare che i proprietari degli immobili inseriti nella
piattaforma sono in realtà tutti ancora in vita e all’oscuro di tali operazioni.
I bonus si sostanziano nel riconoscimento di una detrazione, di importo variabile a seconda della tipologia,
commisurata alle spese documentate per interventi di recupero/restauro degli edifici esistenti o, in particolare,
delle facciate.
I cittadini o le imprese aventi disponibilità di immobili, a seguito degli interventi edilizi, possono
fruire direttamente della detrazione maturata, beneficiandone nei dieci anni successivi. Tuttavia, il decreto
“Rilancio” (decreto-legge n. 34/2020) ha previsto, dal 2020, altresì la possibilità di usufruire dei bonus optando
alternativamente per un contributo di ammontare pari alla detrazione spettante, sotto forma di sconto sul
corrispettivo dovuto al fornitore che ha effettuato gli interventi (c.d. “sconto in fattura”), ovvero, la cessione a
terzi del credito corrispondente alla detrazione maturata.
Nel caso oggetto d’indagine, una volta creati, attraverso la falsa attestazione di lavori mai eseguiti, i crediti fittizi
sono stati oggetto di ripetute cessioni a terzi per consentire poi la monetizzazione presso intermediari finanziari
del “bonus” e la successiva dispersione del profitto del reato. In tal modo, gli indagati si sono assicurati i
proventi illeciti che sono stati in gran parte autoriciclati per oltre 57 milioni di euro, così da far perdere ogni
traccia delle origini fraudolente di tali risorse economiche.
Per tali ragioni, su proposta della locale Procura, il G.I.P. ha anche disposto il sequestro preventivo di quote di
partecipazione in 9 società per un valore di circa 250 mila euro, 24 autovetture e 2 motoveicoli, 2 unità
immobiliari, tutti i conti correnti nella disponibilità di 5 dei 7 indagati, nonché il blocco sul portale dell’Agenzia
delle Entrate dei crediti compensabili nei cassetti fiscali riconducibili a 24 imprese (aventi sede una a L’Aquila,
una a Bologna, sei in provincia di Caserta, una in provincia di Ferrara, una in provincia di Frosinone, due in
provincia di Lecce, una a Milano, cinque in provincia di Napoli, quattro a Roma e due in provincia di Salerno) e
33 soggetti (originari due della provincia di L’Aquila, quattordici della provincia di Caserta, uno della provincia
di Cuneo, uno della provincia di Frosinone, nove della provincia di Napoli, quattro della provincia di Potenza,
uno della provincia di Roma ed uno della provincia di Salerno), risultati cessionari finali dei fittizi crediti di
imposta.
L’attività portata a termine testimonia la particolare attenzione delle Fiamme Gialle iblee verso i più attuali e
pericolosi meccanismi di frode al bilancio dello Stato e dell’Unione Europea, che possono essere contrastati
solamente unendo all’ampio patrimonio informativo messo a disposizione dai moderni strumenti tecnologici le
peculiari tecniche investigative della polizia economico-finanziaria.
Garantire che le risorse necessarie per il rilancio dell’economia del nostro Paese siano correttamente distribuite
rappresenta una cruciale forma di tutela dei diritti di tutti i cittadini onesti e degli imprenditori italiani che
conducono le proprie attività economiche all’insegna della legalità.
Il provvedimento cautelare, emesso dal G.I.P. del Tribunale di Ragusa, su richiesta della Procura, interviene nella
fase delle indagini preliminari ed è basato su imputazioni provvisorie, supportate da gravi indizi di colpevolezza,
che dovranno comunque trovare riscontro in dibattimento e nei successivi gradi di giudizio, nel rispetto, pertanto,
della presunzione di innocenza che l’art. 27 della Costituzione garantisce ai cittadini fino a sentenza definitiva.
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