Me ne ricordo ancora perfettamente; e soprattutto ricordo di quando la carrozza, dovendo salire dalla ripida via Stesicoro, spesso indietreggiava pericolosamente creando il panico tra i presenti. Il corteo funebre era preceduto da ghirlande di fiori che tanti poveracci, pur di sbarcare dignitosamente il lunario, portavano infilate al collo in cambio di pochi spiccioli.
La carrozza era trainata da due cavalli neri “guidati” da tale signor Benigno, e preceduta pure da qualche gruppetto di orfanelli dell’Istituto di San Pietro; ma anche da suore e bambini del Boccone del Povero o del Collegio di Santa Maria della Carità. Le carrozze in realtà erano due; una per i benestanti ed una per i poveri.
Quella più ricca era chiusa con vetri; aveva dei bei riporti a rilievo e delle incisioni, e sul tetto anche delle figure di angioletti in preghiera. Quella dei poveri era invece molto spartana; poche tavole senza nessun ornamento ne angioletti, e lo stesso cocchiere vestiva in maniera più dimessa.
La divisa per i ricchi era infatti ben curata nei particolari; con alamari e spalline decorative, e risvolti dorati nelle maniche. Immancabili anche due becchini (i beccamorti) che procedevano affiancati alla carrozza. Avevano dei grandi baffi neri; ma dei due ricordo perfettamente tale Biagio, un omone alto e robusto che, giunto al cimitero, indossava il suo inseparabile grembiulone grigio, e spesso da solo, passandosi una grossa corda sulle possenti spalle, procedeva alla tumulazione.
Biagio aveva aspetto burbero e serioso; ma chi lo ha conosciuto ricorda che ogni tanto si lasciava andare anche a qualche battuta. Spesso infatti era solito intercalare i suoi discorsi esclamando con ambigua ed ovviamente interessata ironia: “E comu si campa si nuddu mori”! Appresso a quasi tutti i funerali c’era poi anche qualche semplicione che si aggregava al gruppo nella speranza di poter racimolare elemosine che qualcuno pietosamente qua e la gli elargiva per “arrifriscarici l’arma o mortu”.
Uno di questi aveva come soprannome Ninu mmè. Ma spesso c’era pure Petru Zimma; così soprannominato per via di un grosso bozzolo che aveva sulla testa. Era un brav’uomo, alto e magro, che però i ragazzini prendevano spesso in giro perché balbuziente. Con l’avvento delle automobili, passarono a miglior vita anche le carrozze; che rimasero per qualche tempo a marcire in un locale attiguo al camposanto, noto come “a rimissa”. Poi, non considerando che anche loro avrebbero potuto raccontare un pezzo di storia popolare della nostra città, vennero bruciate.
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